I MAGICI MONDI DI ISAAC ASIMOV

MAGHI

(Wizards, 1981)

a cura di ISAAC ASIMOV, MARTIN H. GREENBERG & CHARLES G. WAUGH

 

INDICE

 

I MAGHI di Isaac Asimov

MAZIRIAN IL MAGO di Jack Vance

PER FAVORE AIUTAMI di Ron Goulart

A CHE SERVE UN PUGNALE DI VETRO? di Larry Niven

L'OCCHIO DI TANDYLA di L. Sprague de Camp

IL BAMBINO DEL CAVALLO BIANCO di Greg Bear

LA COLLANA DI SEMLEY di Ursula K. Le Guin

E I MOSTRI CAMMINANO di John Jakes

L'AVVENTURIERO NELLA FORTEZZA di Manly Wade Wellman

I VEGGENTI NERI di Robert E. Howard

LA PARETE INTORNO AL MONDO di Theodore Cogswell

 

Isaac Asimov

MAGHI

 

Non c'è nulla di realmente misterioso nella parola «Mago». La prima sillaba della parola inglese «wizard», «wiz» viene usata, nel gergo comune d'oggigiorno, per qualcuno o qualcosa straordinariamente intelligente o imponente, ed il suono si avvicina a quello della parola «wise», saggio. Infatti, la magia è una forma di "saggezza" ed il «Mago» è semplicemente un «uomo saggio».

Poi, ovviamente, c'è il suffisso «-ard», che in inglese, con la sua variante «-art», arte, è generalmente usato per indicare una quantità eccessiva di qualcosa. Un «coward», codardo, è colui che si lascia intimorire troppo, da «cowed»; un «braggart», spaccone, è colui che si vanta troppo da «brag», e un «drunkard» è colui che beve troppo, da «drunk».

E allora, un «wizard»? Presumibilmente è colui che è troppo saggio («wise») in confronto agli altri.

Come è possibile? In generale, noi tendiamo a rispettare la saggezza, quasi a divinizzarla. Come può una persona essere troppo saggia?

Dipende dal tipo di Universo in cui viviamo. L'Universo è un luogo terrificante e spaventoso per quasi tutti gli uomini di ogni generazione, compresa la nostra. Opera su una base interamente fantastica, capricciosa, perfino chiaramente malevola, e noi uomini siamo le vittime indifese di forze incredibilmente più grandi di quanto riusciamo a comprendere.

In che altro modo possiamo spiegare le tempeste che si scatenano senza preavviso, le siccità, le improvvise epidemie di morbo e di peste, le disgrazie di ogni genere?

Certamente l'Universo deve trovarsi sotto il controllo di esseri irrazionali, capricciosi, irascibili come gli esseri umani nei momenti peggiori; esseri incredibilmente potenti e tuttavia al tempo stesso incredibilmente infantili; esseri pronti, seppur fondamentalmente ben disposti, ad esplodere in una furia incontrollabile ad ogni minima ed insignificante offesa o affronto.

Sebbene ci raffiguriamo l'Universo sotto il controllo di un essere tanto buono quanto potente, questi è sempre pronto a perdere la calma, per cui... attenzione! Oppure, se questo essere è così buono che la sua bontà non è mai stata messa in discussione nemmeno per un istante, si può solo supporre anche l'esistenza di Forze del Male in perenne competizione con lui e delle quali l'essere buono è costretto a tollerare l'esistenza (oppure che stabilisce, per qualche imperscrutabile ragione, di tollerare).

Tuttavia, comunque vogliamo definirlo, l'Universo ci sembra un terribile manicomio. Eppure non potrebbe essere possibile comportarsi in modo tale da tenere tutti questi esseri soprannaturali di buon'umore? Si potrebbero uccidere o bruciare degli animali, perché un fumo delizioso si elevi in cielo, dove dimorano questi esseri, e li alimenti fino a che siano sazi. Oppure si potrebbero cantare infinite canzoni di lode a questi esseri, lusingandoli per la loro benevolenza. Ed infine si potrebbero trovare dei canti magici che li cullino per addolcirli oppure che li rendano innocui.

Qualsiasi cosa, però, deve essere fatta proprio in un certo modo. Le parole, i gesti, l'esatto ordine degli eventi, l'intero Rituale, devono essere corretti, altrimenti il risultato sarà sicuramente peggiore di quello raggiunto se non si fosse fatto assolutamente nulla.

Ma in che modo si può scoprire come deve essere eseguito il Rituale? Chiaramente, le uniche fonti cui rifarsi sono gli esseri soprannaturali stessi. Se qualche essere umano scoprisse i loro segreti, potrebbe controllare l'intero Universo adulando, ingannando, oppure dominando questi esseri soprannaturali.

Ma gli esseri umani possono realmente imparare questi segreti? Ebbene, voi ed io, in quanto persone intelligenti del Ventesimo Secolo e dotate di un'eccellente cultura scientifica, sappiamo che non esistono segreti di alcun genere, né esseri soprannaturali, né Demoni, né Geni, Ninfe o Satiri... Ma lo sappiamo solo voi ed io. Per gli altri, non così ben collocati nello spazio e nel tempo, e non così istruiti e sofisticati come noi, è sufficiente che qualcuno dica di avere dei segreti. Se è abbastanza intelligente e audace da convincere coloro che lo guardano ed ascoltano a pensare che è davvero capace di controllare l'Universo, gli altri lo crederanno. (Perché no? Pensate quanti milioni di persone si lasciano attrarre da tutti i vecchi espedienti e dalle fandonie, dall'astrologia al mistero del cucchiaio che si piega, tralasciando poi tutto il resto).

Esistono vari nomi da attribuire a coloro che conoscono i segreti con cui l'Universo può essere controllato, ed uno di questi è appunto: «Mago».

La gente dovrebbe sentirsi grata nei confronti di questi controllori del fato, poiché è sicuramente a loro che ci si deve rivolgere per assicurarsi dell'arrivo delle piogge e per evitare le infezioni; sono loro i salvatori, quelli che rispondono ad ogni domanda, i portatori della buona sorte, i protettori nei contrattempi e nella malattia.

Pensate a Merlino, l'antico Mago di tante leggende, forse in assoluto il Mago più popolare. Chi potrebbe parlarne male?

Ed allora, perché quel suffisso finale «ard»?

Un Mago non è capace di irascibilità e di collera come qualsiasi altro essere umano? Non potrebbe essere ferito nei sentimenti? Non potrebbe bramare maggiore potere? Insomma, i Maghi non sono in fondo pericolosi come gli esseri che controllano?

Certo.

La Magia quindi è una lama a doppio taglio e, se ci occupiamo di storie di Maghi, fin dove possiamo arrivare? Ricordate che la catastrofe è più drammatica della pace; che il pericolo è più drammatico della quiete e, certo: che anche il Male è più drammatico del Bene. Gli scrittori, in quanto esseri umani desiderosi di raggiungere i lettori, sono propensi quindi ad accentuare i mali ed i pericoli della Magia.

Quello che troverete in questo libro, è un gruppo di storie piene di drammi, di pericoli, e di azioni spaventose. È il miglior genere di storie da leggere purché siate seduti comodi nella vostra poltrona preferita, oppure rannicchiati comodamente nel vostro letto...

I miei migliori auguri e buona lettura.

 

Jack Vance

MAZIRIAN IL MAGO

 

Jack Vance apparve per la prima volta sulle riviste di fantascienza alla fine del 1940 e conseguì subito un grosso successo di pubblico sia per i suoi lavori nel campo della Fantascienza che in quello della Fantasia Eroica.

Tra i suoi lavori più famosi, annotiamo il Ciclo della TERRA MORENTE (da noi pubblicato nella Collana Orizzonti) del 1950, IL MONDO DEGLI SHOWBOAT, del Ciclo del GRANDE PIANETA, (che pubblicheremo entrambi nella Collana Il Libro d'Oro della Fantascienza), il Ciclo di ALASTOR, quello di KIT GERSHEN, e poi SIGNORI DEI DRAGHI, Premio Hugo, che pubblicheremo anche questo nella Collana de Il Libro d'Oro della Fantascienza. Se poi, a quanto vi abbiamo detto sin qui, aggiungete che pubblicheremo anche CUGEL'S SAGA (l'ultimo volume uscito del Ciclo della TERRA MORENTE), e ristamperemo CREPUSCOLO DI UN MONDO che è ormai esaurito, vi potrete facilmente rendere conto da voi di quali spazi editoriali riserviamo a questo grande Maestro americano.

Vance è uno dei pochissimi scrittori americani ad aver vinto il PREMIO HUGO, il PREMIO NEBULA e il PREMIO EDGAR riservato quest'ultimo agli scrittori di Gialli.

MAZIRIAN IL MAGO, tratto dal suo Ciclo più classico quello della TERRA MORENTEè uno stupendo esempio di come Vance riesca a scrivere i racconti di Magia ambientati nel futuro.

 

Profondamente assorto nei suoi pensieri, Mazirian il Mago passeggiava nel giardino. Alberi dai diversi frutti velenosi erano curvi sul suo cammino, ed i fiori s'inchinavano ossequiosamente mentre lui passava. A pochi centimetri dal suolo, gli occhi opachi come agate delle mandragore seguivano i passi dei suoi piedi calzati di babbucce nere.

Il giardino di Mazirian era diviso in tre grandi terrazze e vi cresceva una strana e meravigliosa vegetazione: v'erano delle piante che palpitavano d'iridescenze cangianti, altre con dei fiori pulsanti come anemoni di mare purpurei, verdi, lilla, rosa, gialli. Alberi simili a parasoli di piume, altri dai tronchi trasparenti venati di rosso e di giallo, altri ancora dalle foglie come metallo, ogni foglia di un metallo diverso: rame, argento, tantalio, azzurro, bronzo, iridio verde.

Qui, dalle verdi foglie cristalline s'affacciavano dei fiori intrecciati di mille tubicini, ognuno dei quali sibilava dolcemente, suonando le melodie dell'antica Terra: le melodie della luce del rosso Sole di rubino, dell'acqua che stillava dalle rocce nere, dei venti languidi. Al di là della barriera di roccia, gli alberi della foresta formavano un'alta muraglia di mistero. In quell'ora estrema della Terra morente, nessun uomo poteva affermare di conoscere a fondo le valli e i burroni, le praterie, le radure nascoste, i padiglioni in rovina, i giardini bagnati di sole, i crepacci e le alture, i ruscelli, i fiumi e gli stagni, i prati, i piccoli boschi, le macchie di cespugli e le rocce affioranti.

Mazirian camminava nel giardino, con la fronte aggrottata, profondamente immerso nei suoi pensieri. Camminava lentamente, le braccia allacciate dietro la schiena. Qualcuno aveva fatto nascere in lui confusione, dubbio e desiderio: una splendida creatura femmina che viveva nella foresta. Ella era venuta nel suo giardino — sorridente ma sempre circospetta — su un cavallo nero dagli occhi come cristalli dorati. Più d'una volta Mazirian aveva cercato di prenderla; ma il cavallo l'aveva sempre trascinata via, lontano dagli adescamenti, dalle minacce e dagli inganni.

Nel giardino risuonò uno stridulo grido di agonia. Mazirian accelerò il passo e vide una talpa mordere lo stelo di un ibrido pianta-animale. Il Mago uccise il predone, ed alle urla succedette un cupo ansimare. Mazirian accarezzò una foglia pelosa e la rossa bocca sibilò di piacere.

Poi la pianta parlò: «K-K-K-K». Mazirian si chinò, raccolse il roditore e l'offrì alla bocca rossa. La bocca aspirò, e il corpicino scivolò nella sua vescica-stomaco. La pianta gorgogliò e ruttò; Mazirian la guardava soddisfatto.

Il Sole era scivolato verso l'orizzonte, ed era ormai cosi debole e rosso che già si potevano vedere le stelle. Improvvisamente Mazirian avvertì una presenza estranea che lo spiava. Poteva essere la fanciulla della foresta: già altre volte si era presentata in quel modo. Restò immobile, cercando di capire da quale direzione provenisse lo sguardo.

Lanciò l'Incantesimo dell'Immobilità. Dietro di lui la pianta-animale s'irrigidì, ed una grande falena verde cadde lentamente al suolo. Mazirian si voltò. Lei era là, al margine della foresta, più vicina di quanto non fosse mai stata. Non si mosse mentre lui si avvicinava. Gli occhi giovani/antichi di Mazirian risplendettero; l'avrebbe portata nella sua casa e l'avrebbe tenuta in una prigione di vetro verde. Avrebbe messo alla prova il suo cervello col fuoco, col ghiaccio, col dolore e con la gioia. Ella gli avrebbe servito il vino, e alla luce della lampada gialla avrebbe eseguito per lui i Diciotto Movimenti della Lussuria. Forse lo stava spiando: se così era, il Mago l'avrebbe scoperto immediatamente, perché egli non aveva amici fra gli uomini e doveva sempre rimanere a guardia del suo giardino.

Era ormai a soli venti passi di distanza, quando la fanciulla voltò improvvisamente la cavalcatura e fuggì nella foresta, tra il rimbombo dei neri zoccoli del suo cavallo.

Il Mago gettò a terra con rabbia il mantello. Doveva avere una salvaguardia, un contro-incantesimo, un amuleto di protezione; e veniva sempre quando lui non era preparato per inseguirla. Mazirian scrutò le tenebrose profondità della foresta e intravvide il pallore del corpo di lei che fuggiva in un raggio di luce rossa; poi la figuretta si mutò in un'ombra scura, ed ella era scomparsa... Era forse una strega? Era venuta di sua volontà o — com'era più probabile — era stata mandata da qualche nemico? E in tal caso, chi era che la mandava? Poteva essere stato il Principe Kandive il Dorato, al quale Mazirian aveva sottratto con l'inganno il segreto dell'eterna giovinezza; o Azvan l'Astronomo, o Turjan... No, Turjan no... E qui il volto di Mazirian s'illuminò d'un ricordo piacevole...

Accantonò quel pensiero. Azvan, almeno, poteva metterlo alla prova. Tornò verso il laboratorio, sì avvicinò ad un tavolo dove era poggiato un cubo di limpido cristallo circondato da una luminosa aureola rossa e blu, ed estrasse da un armadio un gong di bronzo ed un martello d'argento. Colpì il gong e un suono caldo cantò per la stanza e fuori, via e lontano. Suonò ancora e ancora, finché all'improvviso apparve nel cristallo il volto di Azvan, alterato dal dolore e dalla paura.

«Smetti di battere, Mazirian,» gridò Azvan. «Smetti di battere sul gong della mia vita!»

Mazirian si fermò, e posò la mano sul gong.

«Mi stai spiando, Azvan? Hai forse mandato una donna a recuperare il gong?»

«Non io, Padrone, non sono stato io! Ho troppa paura di te.»

«Mi devi consegnare quella donna, Azvan; lo esigo.»

«Impossibile, Padrone! Non so assolutamente chi o cosa essa sia!»

Mazirian fece il gesto di colpire ancora il gong. Azvan esplose in un tale torrente di suppliche che Mazirian, con un gesto di disgusto, gettò via il martello e rimise a posto il gong. Il viso di Azvan svanì lentamente, e il delicato cubo di cristallo si spense e tornò del colore iniziale.

Mazirian si accarezzò il mento. A quel che sembrava, avrebbe dovuto catturare da sé la fanciulla. Più tardi, quando l'oscurità della notte fosse scesa sulla foresta, avrebbe cercato sui suoi libri degli incantesimi che lo proteggessero nelle radure piene di mistero. Sarebbero stati degli incantesimi forti e brucianti, tali che uno solo di essi avrebbe riempito di terrore la mente di un uomo normale, e due lo avrebbero fatto impazzire. Mazirian, grazie al continuo esercizio, era in grado di tenere a mente quattro degli incantesimi più forti, o sei dei più deboli.

Accantonò per il momento il progetto e si avvicinò ad una lunga ampolla bagnata da un fiotto di luce verde. Completamente immerso nel liquido chiaro v'era il corpo di un uomo orribile a vedersi sotto l'accecante luce smeraldina, ma di grande bellezza e perfezione fisica. Aveva spalle larghe e fianchi stretti, gambe lunghe e forti, e piedi arcuati; il volto era liscio e freddo, i lineamenti duri. Capelli biondo cenere gli avvolgevano il capo.

Mazirian si fermò ad osservare la cosa, che aveva creata da una singola cellula iniziale. Le mancava solo l'intelligenza, ma a questa egli non sapeva come provvedere. Turjan di Miir sapeva creare l'intelligenza: ma Turjan — e a questo punto Mazirian guardò con un ghigno una botola sul pavimento — si rifiutava ostinatamente di metterlo a parte del suo segreto.

Mazirian osservava la creatura nell'ampolla. Il corpo era perfetto: forse anche il suo cervello era in grado di percepire gli ordini e di obbedire. L'avrebbe saputo. Mise in moto un dispositivo che vuotava l'ampolla del liquido ed alla fine il corpo giacque direttamente sotto la luce. Mazirian iniettò nel collo della vittima qualche goccia di droga e il corpo si contrasse, aprì gli occhi e sussultò sotto la luce. Mazirian allontanò la lampada.

La creatura nell'ampolla mosse debolmente le braccia e i piedi, come se non ne conoscese l'uso. Mazirian osservava attentamente: forse aveva trovato la sintesi giusta anche per il cervello.

«Siediti,» ordinò il Mago.

La creatura fissò gli occhi su di lui, ed i suoi muscoli furono raggiunti dai riflessi. Emise un urlo gutturale e balzò dall'ampolla al collo di Mazirian. Il Mago era molto forte, ma la creatura lo afferrò per il collo e cominciò a scuoterlo come un fantoccio.

Malgrado tutta la sua Magia, Mazirian non riusciva a difendersi. L'Incantesimo dell'Immobilità lo aveva già lanciato da poco, e non ne aveva altri analoghi chiusi nella mente. In ogni caso non sarebbe mai riuscito a pronunciare le sillabe che piegano lo spazio, con la gola serrata in quella stretta folle.

La sua mano si chiuse sul collo di un pesante recipiente di piombo. Lo fece ruotare e colpì il capo della creatura, che crollò al suolo.

Mazirian — non del tutto insoddisfatto — studiò il corpo lucente che giaceva ai suoi piedi: il coordinamento spinale aveva funzionato bene. Si avvicinò al tavolo e preparò una pozione bianca, quindi sollevò la testa dorata e versò il liquido nella bocca semiaperta. La creatura si mosse, aprì gli occhi e si sollevò sui gomiti. La follia era scomparsa dal suo volto, ma inutilmente Mazirian vi cercò un bagliore d'intelligenza: gli occhi erano spenti come quelli di una lucertola.

Il Mago scosse la testa, irritato. Si avvicinò alla finestra e il suo profilo meditabondo si stagliò nero contro i pannelli ovali...

Tentare ancora una volta con Turjan? Ma anche sotto le più orrende torture Turjan aveva serbato gelosamente il suo segreto. Mazirian incurvò in un ghigno la bocca sottile: forse, inserendo un altro angolo nel passaggio...

Il Sole era scomparso dal cielo e nel giardino di Mazirian regnava la semioscurità. I bianchi fiori notturni si erano aperti e le falene grige svolazzavano da un fiore all'altro. Mazirian sollevò la botola nel pavimento e cominciò a scendere i gradini di pietra. Giù, giù, giù... fino ad un passaggio ad angolo retto illuminato dalla luce gialla delle lampade eterne. Sulla sinistra vi erano delle macchie di funghi e sulla destra una robusta porta di quercia e ferro, chiusa con tre catenacci. La scala di pietra continuava a scendere, perdendosi nell'oscurità.

Mazirian aprì i tre catenacci e spalancò la porta. La stanza era nuda, ad eccezione di un piedistallo di pietra che sosteneva una cassetta coperta da una lastra di vetro. La scatola era alta una ventina di centimetri ed aveva un metro di lato. All'interno della scatola c'era una specie di corridoio, una pista che girava tutt'intorno, con quattro angoli retti. Lungo di essa si muovevano due piccole creature, una lanciata all'inseguimento e l'altra che cercava disperatamente di fuggire. L'inseguitore era un minuscolo drago dai furibondi occhi di fuoco e con la spaventosa piccola bocca irta di zanne. Avanzava ondeggiando su sei zampe piatte e torceva la coda mentre correva. L'altro era circa la metà del drago: un uomo robusto, completamente nudo ad eccezione di un cerchietto di rame che gli fermava i lunghi capelli neri. L'uomo si muoveva un po' più velocemente del suo inseguitore, il quale, tuttavia, insisteva senza tregua nella caccia e usava una certa astuzia, accelerando a tratti la corsa, tornando improvvisamente indietro o nascondendosi dietro un angolo nel caso che imprudentemente l'uomo avesse continuato la sua corsa. L'uomo era Turjan, che Mazirian aveva catturato con l'inganno molte settimane prima e che aveva rimpicciolito con le sue arti magiche.

Mazirian osservò con soddisfazione il mostro balzare all'improvviso sull'uomo che s'era fermato un istante per recuperare le energie e che guizzò via appena in tempo. Era ora, pensò Mazirian, di concedere ad ambedue cibo e riposo. Inserì dei pannelli nel corridoio e lo divise in due metà, separando così l'uomo dalla belva. Diede loro della carne e un boccale d'acqua.

«Ah,» disse Mazirian. «Sei stanco? Vuoi riposare?»

Turjan rimase in silenzio, con gli occhi chiusi. Il tempo e il mondo avevano perso ogni significato per lui: le uniche realtà erano il corridoio grigio e l'interminabile fuga. A intervalli imprevedibili, c'erano del cibo e poche ore di riposo.

«Pensa al cielo azzurro,» disse Mazirian, «alle stelle bianche, al tuo castello Miir sul fiume Derna, immagina di passeggiare libero sui prati.»

I muscoli intorno alla bocca di Turjan si contrassero.

«Pensa, potresti schiacciare quel piccolo drago sotto il tallone.»

Turjan alzò lo sguardo: «Preferirei schiacciare il tuo collo, Mazirian.»

Mazirian rimase imperturbabile: «Dimmi, come fai a donare l'intelligenza alle tue creature? Parla, e sarai libero.»

Turjan rise d'un riso folle. «Dirtelo? E poi? Tu mi uccideresti immediatamente con l'olio bollente.»

Mazirian incurvò la bocca sottile con arroganza.

«Miserabile uomo, so come farti parlare! Se pure tu avessi la bocca riempita di paglia, coperta di cera e sigillata, parlerai! Domani ti scoprirò un nervo del braccio e lo strofinerò con un panno ruvido per tutta la sua lunghezza!»

Il piccolo Turjan, seduto, le gambe distese attraverso il passaggio, bevve un po' d'acqua e non disse nulla.

«Stasera,» disse Mazirian con studiata malevolenza, «aggiungerò un angolo al corridoio e trasformerò il passaggio in un pentagono.»

Turjan si fermò e guardò in su, oltre il coperchio di vetro, verso il suo nemico. Poi bevve lentamente un sorso d'acqua. Con cinque angoli avrebbe avuto meno tempo per sfuggire alla carica del mostro, e avrebbe potuto controllare un tratto più breve del passaggio da un angolo all'altro.

«Domani,» disse Mazirian, «avrai bisogno di tutta la tua agilità.» Improvvisamente cambiò argomento. Guardò pensoso Turjan e disse: «Potrei risparmiarti tutto questo, comunque, se tu mi aiutassi a risolvere un altro problema.»

«Qual è il tuo problema, Mago inquieto?»

«Sono ossessionato dall'immagine di una creatura-femmina, e voglio catturarla.» E a quel pensiero gli occhi di Mazirian s'incupirono. «Verso sera si avvicina alla siepe del mio giardino cavalcando un grande cavallo nero. La conosci, Turjan?»

«No, Mazirian,» rispose Turjan bevendo un lungo sorso d'acqua.

Mazirian continuò. «Conosce una Magia che le permette di essere immune dal Secondo Incantesimo Ipnotico di Felojun, oppure ha un talismano che la protegge: ogni volta che mi avvicino, fugge nella foresta.»

«E allora?» chiese Turjan addentando la carne che Mazirian gli aveva dato.

«Chi può essere questa donna?» chiese Mazirian accostando il naso adunco al minuscolo prigioniero.

«Come posso saperlo, io?»

«Devo catturarla assolutamente,» disse Mazirian sovrappensiero. «Ma con quali incantesimi, con quali incantesimi?»

Turjan guardò in su, anche se, attraverso il coperchio di vetro, poteva vedere il Mago solo confusamente.

«Liberami, Mazirian, e sulla mia parola di Gerarca Scelto di Maramor, io ti consegnerò quella fanciulla.»

«Come potresti farlo?» chiese sospettosamente Mazirian.

«La inseguirò nella foresta calzando i miei migliori Stivali Vivi, e con la mente piena di incantesimi.»

«Tu non potresti fare meglio di me,» rispose il Mago. «Ti libererò solamente quando mi avrai rivelato il segreto della sintesi delle tue creature. Penserò io ad inseguire la fanciulla.»

Turjan chinò il capo, in modo che Mazirian non potesse leggere nei suoi occhi.

«E cosa sarà di me, Mago?», chiese dopo un momento.

«Penserò a te al mio ritorno.»

«E se tu non tornassi?»

Mazirian si accarezzò il mento e sorrise, rivelando i sottili denti bianchi.

«Turjan, il drago potrebbe divorarti anche subito, se non fosse per quel tuo maledetto segreto.»

Il Mago risalì la scala. La mezzanotte lo trovò immerso nello studio a consultare pazientemente grossi volumi rilegati in pelle e vecchie cartelle ammuffitte... Una volta, si conoscevano migliaia di sortilegi, talismani, incantesimi, stregonerie e maledizioni. Fino ai confini del Gran Motholam, di Ascolais, dell'Ida del Cacicco, di Almeria a Sud, della Terra dei Muri che Crollano ad Est, v'erano Stregoni di ogni genere. Il loro capo era l'Arci-Negromante Phandaal, che aveva creato cento incantesimi, sebbene si dicesse che fossero stati i demoni a mormorarglieli nelle orecchie mentre operava la Magia. Pontecilla il Pio, allora Reggitore di Motholam, aveva messo Phandaal alla tortura e, dopo un'orribile notte, l'aveva ucciso e aveva dichiarato illegale la stregoneria in tutto il paese. I Maghi del Gran Motholam fuggirono come scarafaggi di fronte alla luce; tutti gli incantesimi furono persi e dimenticati, e così oggi, in questo tempo oscuro in cui il Sole si rabbuia, Ascolais è sopraffatta dalle selve e la bianca città di Kaiin va in rovina, poco più di un centinaio di sortilegi soltanto sono rimasti alla conoscenza dell'uomo. Mazirian era padrone di settantatré di questi e, piano piano, con stratagemmi e contrattazioni, si stava assicurando anche gli altri.

Mazirian scelse dai suoi libri, e con gran fatica s'impresse nella mente, cinque incantesimi: Il Vortice di Phandaal, la seconda Formula Ipnotica di Felojun, il Meraviglioso Prisma Radiante, l'Incantesimo del Nutrimento Inesauribile ed il Sortilegio della Sfera Onnipotente. Fatto questo, bevve del vino e si ritirò a dormire.

Il giorno seguente, quando il Sole cominciò a scendere sull'orizzonte, Mazirian si recò a passeggiare nel suo giardino. Non dovette attendere molto. Mentre smuoveva la terra intorno alle radici del suo geranio-luna, un debole fruscio ed uno scalpito gli dissero che l'oggetto dei suoi desideri era vicino.

Sedeva dritta sulla sella, giovane donna di squisita bellezza. Mazirian si fermò con cautela per non spaventarla e calzò gli Stivali Vivi allacciandoli sopra il ginocchio.

Si sollevò e gridò: «Oh fanciulla, sei tornata! Perché vieni qui ogni sera? Ti piacciono le mie rose? Sono così rosse perché nei loro petali scorre vivo del sangue rosso. Se oggi non fuggirai, te ne donerò una.»

Mazirian colse una rosa dal cespuglio palpitante e avanzò verso di lei, frenando l'impeto degli Stivali Vivi. Aveva fatto appena qualche passo, quando la donna affondò le ginocchia nelle costole della sua cavalcatura e si tuffò tra gli alberi.

Mazirian diede la massima potenza agli Stivali che fecero un balzo, poi un altro ancora... il Mago si trovò in pieno inseguimento.

Così Mazirian entrò nella favolosa foresta. Da ogni parte si ergevano tronchi ritorti ricoperti di muschio a sorreggere altre panoplie di foglie. A tratti, dei raggi di sole attraversano il fogliame, bagnando la terra di chiazze color carminio. Nell'ombra, fiori dal lunghissimo stelo e funghi delicati nascevano dal suolo. In quell'ora del declino della Terra la natura era dolce e rilassata.

Mazirian, con i suoi Stivali Vivi, attraversava la foresta a grandi balzi, ma il cavallo nero, galoppando senza affanno, manteneva facilmente la distanza.

Per molte leghe corse la donna, con i capelli che le ondeggiavano dietro la schiena come un vessillo. Quando si voltò, Mazirian, come in un sogno, vide il viso di lei al di sopra della spalla. Poi la fanciulla si chinò in avanti; il cavallo dagli occhi dorati accelerò il suo passo scomparendo alla vista, Mazirian continuò l'inseguimento seguendo le orme sul terreno.

Intanto gli Stivali Vivi cominciavano a perdere forza, perché erano andati troppo lontano e troppo velocemente. I mostruosi balzi divennero sempre più corti e sempre più pesanti, ma anche le orme del cavallo erano diventate più ravvicinate e più lente. Ad un tratto Mazirian raggiunse un prato e vide il cavallo nero che — senza più cavaliere — brucava tranquillamente l'erba. Gli si fermò dappresso. La distesa di tenera erba era davanti a lui e, mentre le impronte del cavallo erano nettissime, non c'erano tracce che lasciassero la radura. Dove, non era dato sapere. Tentò di avvicinarsi al cavallo, ma l'animale scartò e galoppò via tra gli alberi. Mazirian si mosse per inseguirlo: ma, nel tentativo, scoprì che i suoi stivali pendevano molli e flaccidi, morti.

Li calciò via, maledicendo quel giorno e la sua malasorte. Col mantello sciolto sulle spalle e il volto acceso da un'espressione funesta, tornò sui suoi passi.

In quella parte della foresta v'erano molte rocce verdi e nere di basalto e di serpentina, che preannunziavano le grandi rupi del fiume Derna. Su una di queste rocce, Mazirian vide una piccola cosa-uomo che cavalcava una libellula. Aveva la pelle dai verdi riflessi metallici, indossava una camicia trasparente, e portava una lancia lunga due volte lui.

Mazirian si fermò. L'Uomo-Twk lo guardò senza espressione.

«Hai visto passare una donna della mia razza, Uomo-Twk?»

«Ho visto una donna,» rispose l'Uomo-Twk dopo un momento di riflessione.

«Dove posso trovarla?»

«Cosa mi darai per l'informazione?»

«Sale. Quanto ne potrai portare.»

L'Uomo-Twk fece roteare la sua lancia: «Sale? No. Liane il Viaggiatore fornisce al nostro capo Dandanflores il sale per tutta la tribù.»

Mazirian poteva immaginare benissimo i servizi in cambio dei quali il bandito-trovatore pagava sale. Gli Uomini-Twk, volando sulle loro libellule, potevano vedere tutto quel che accadeva nella foresta.

«Una fiala di olio dei miei fiori di Telanxis?»

«Bene,» disse l'Uomo-Twk. «Mostrami la fiala.»

Mazirian gliela mostrò.

«Ha abbandonato il sentiero vicino alla quercia caduta per il parafulmine che si trova poco avanti a te, e si è diretta verso la valle del fiume, lungo la via più breve per giungere al lago.»

Mazirian depose la fiala vicino alla libellula e si avviò verso la quercia. L'Uomo-Twk lo guardò andar via, poi smontò e legò la fiala al ventre della sua cavalcatura, proprio vicino alla spada dalla splendida impugnatura che la donna gli aveva dato perché fornisse a Mazirian quelle indicazioni.

Il Mago girò intorno alla quercia e scoprì immediatamente delle orme tra le foglie morte. Davanti a lui si stendeva una lunga radura aperta che scendeva dolcemente verso il fiume. Ai lati, torreggiavano alberi giganteschi; i raggi del lungo tramonto tingevano uno dei lati color sangue e l'altro d'ombra nera. L'oscurità era così profonda che Mazirian non vide la creatura seduta sul tronco di un albero caduto. Ne avvertì la presenza solo quando essa era già pronta a balzargli alle spalle.

Con un salto, Mazirian si voltò per fronteggiare la cosa, che tornò immediatamente a sedersi. Era un Morto Vivo, dalla forma e l'aspetto di un uomo magnifico e dalla splendida muscolatura, ma con la pelle nera, opaca e morta, e gli occhi simili a due lunghe fessure.

Nella radura si levò fioca la voce della cosa nera: «Ah, Mazirian! Tu vaghi per la foresta, ben lontano dalla tua casa!»

Il mostro, Mazirian lo sapeva, desiderava ardentemente la carne del suo corpo. Come poteva essergli sfuggita la fanciulla? Le sue orme passavano giusto di lì.

«Sono alla ricerca di qualcosa. Rispondi alle mie domande e io ti fornirò tutta la carne che vorrai.»

Il Morto Vivo lo guardò in tralice, lasciando scivolare gli occhi sul corpo di Mazirian.

«Lo farai in ogni caso, Mazirian. O forse oggi sei protetto da qualche potente incantesimo?»

«Sì, è così. Ma dimmi, quanto tempo fa è passata di qui la fanciulla? Correva o camminava lentamente? Era sola o in compagnia? Rispondimi, e io ti darò carne ogni volta che la desidererai.»

Le labbra della creatura si contrassero ironicamente. «Sei cieco, Mago! Lei non ha lasciato la radura!» Indicò un punto, e Mazirian seguì la direzione del nero braccio morto. Ma fece appena in tempo a tirarsi indietro, mentre il Morto Vivo saltava. Dalla sua bocca fluì l'Incantesimo del Vortice di Phandaal, e il mostro fu bruscamente sollevato da terra e volò alto nell'aria, dove rimase sospeso ruotando vorticosamente. In alto e in basso, più veloce e più lento, su fino alle cime degli alberi e giù fino al suolo. Mazirian guardava con un mezzo sorriso. Dopo un poco fece scendere il Morto Vivo più in basso e rallentò il vortice.

«Vuoi una morte rapida, o preferisci morire a poco a poco?», chiese Mazirian. «Aiutami e ti ucciderò in un istante. Altrimenti, ti farò salire in alto, là dove volano i succhiacrani.»

La rabbia e il terrore strozzavano il Morto Vivo.

«Possa l'Aculeo Nero di Thias accecare i tuoi occhi! Possa Kraan immergere nell'acido il tuo cervello vivo!» E aggiunse tali maledizioni che Mazirian fu costretto a mormorare degli incantesimi che le annullassero.

«Sali, allora!» disse infine Mazirian, facendo un cenno con la mano. Il nero corpo scomposto fu sollevato in alto, oltre le sommità degli alberi, e cominciò a roteare lentamente nel tepore cremisi del tramonto. All'improvviso, una cosa screziata in forma di pipistrello col becco ad uncino scivolò accanto al Morto Vivo che urlava disperatamente e, prima che questi potesse scacciarlo, gli strappò via un brano dalla gamba nera. Subito un'altra ombra e poi un'altra saettarono nel sole.

«Giù, Mazirian, mettimi giù!», urlò convulsamente la creatura. «Ti dirò tutto quello che so.»

Mazirian lo riportò in basso, vicino alla terra.

«La ragazza è passata di qui poco prima di te. Era sola. Io ho tentato di attaccarla, ma lei mi ha respinto con una manciata di polvere di talittro. È arrivata al limite della radura e ha preso il pensiero che conduce al fiume. Ma sappi che quel sentiero passa per la tana di Thrang. Di certo è perduta: Thrang si sazierà di lei fino a farla morire.»

Mazirian si accarezzò il mento. «Aveva con sé qualche incantesimo?»

«Non lo so, ma certo dovrebbe avere un incantesimo potentissimo per sfuggire a quel demonio!»

«Hai nient'altro da dirmi?»

«No.»

«Allora puoi morire.» E Mazirian fece roteare la creatura sempre più velocemente, fin quando nel cielo non rimase che una macchia indistinta. Si udì un lamento strozzato e ad un tratto il corpo del Morto Vivo andò in pezzi. La testa schizzò via come un proiettile nella radura; le braccia, le gambe e le viscere volarono in ogni direzione.

Mazirian riprese il suo cammino. Alla fine della radura, il sentiero scivolava ripido tra grandi blocchi di serpentina verde fino al fiume Derna. Il sole era tramontato e le ombre velavano la valle. Mazirian raggiunse la riva del fiume e seguì la corrente verso uno scintillio lontano, conosciuto come l'Acqua di Sanra, il Lago dei Sogni.

Un odore diabolico era nell'aria, un fetore di putrefazione e di lordure. Mazirian avanzò con maggior cautela, perché la tana di Thrang, l'orso-demonio, il ghoul mangiatore di cadaveri, era vicina, e s'avvertiva nell'aria una Magia forte e brutale che probabilmente anche i suoi più potenti sortilegi non sarebbero riusciti a vincere.

Lo raggiunse un suono di voci, il grugnito gutturale di Thrang e disperate urla di terrore. Mazirian girò intorno ad uno spuntone di roccia cercando di identificare l'origine di quei suoni.

La tana di Thrang era scavata nella roccia: un fetido mucchio di pelli e di erbe gli serviva da giaciglio. Aveva costruito un rozzo recinto in cui teneva prigioniere tre donne dal corpo ricoperto di contusioni e dal viso sconvolto dall'orrore. Thrang le aveva rapite alla tribù che viveva nelle barche di seta lungo la riva del lago; ora esse lo guardavano mentre cercava di sottomettere la fanciulla che aveva appena catturato. Il suo grigio muso rotondo dalle fattezze umane era contorto in un ghigno, e le sue mani d'uomo avevano già strappato alla fanciulla il giubbetto. Ma ella riusciva miracolosamente a tenere lontano il gran corpo ricoperto di sudore. Mazirian spalancò gli occhi. Magia, Magia!

Rimase a guardare, cercando di trovare il modo di uccidere Thrang senza far del male alla fanciulla. Ma lei lo scorse al di sopra della spalla di Thrang.

«Guarda,» ansimò. «Ecco Mazirian che viene ad ucciderti.»

Thrang si volse, vide il Mago e gli si avventò contro a quattro zampe, ruggendo selvaggiamente. Mazirian, più tardi, pensando alla strana paralisi che aveva fermato il suo cervello in quel momento, si chiese se il ghoul avesse lanciato qualche strano incantesimo. Forse l'incantesimo era la visione stessa della feroce faccia bianco-grigiastra di Thrang e delle sue grandi zampe tese ad afferrarlo.

Mazirian si liberò dall'incantesimo — se tale era stato — e lanciò il suo sortilegio. Tutta la valle fu illuminata da violenti lampi di fuoco che da ogni direzione si precipitavano a trafiggere il goffo corpo di Thrang in mille punti. Era l'incantesimo del Meraviglioso Prisma Radiante, migliaia di raggi multicolori simili a pugnali. Thrang morì quasi subito. Il suo sangue color porpora colava da innumerevoli ferite.

Ma Mazirian gli prestò poca attenzione: la fanciulla era fuggita ancora. Il Mago la vide — una bianca figuretta che correva lungo il fiume dirigendosi verso il lago — e prese ad inseguirla, incurante delle urla strazianti delle tre donne prigioniere nel recinto.

Davanti a lui si stendeva il lago, una vasta distesa d'acqua la cui sponda opposta era appena visibile. Mazirian scese sulla riva sabbiosa e scrutò il buio volto dell'Acqua di Sanra, il Lago dei Sogni. L'oscurità della notte dominava il cielo. Solo un tenue chiarore tremolava all'orizzonte, mentre le stelle si specchiavano sulla liscia superficie del lago. L'acqua era fredda e tranquilla, senza più maree, come tutte le acque della Terra da quando la Luna era scomparsa dal cielo.

Dov'era la donna? Intravvide una pallida bianca forma nell'ombra, sull'altra sponda del fiume. Lontano, al di là del fiume... un'evanescente figura bianca... Mazirian si erse in tutta la sua statura, alto e imperioso sulla riva. La brezza leggera gli avvolgeva il mantello attorno alle gambe.

«Oh, fanciulla,» chiamò. «Sono io, Mazirian il Mago, che ti ha salvato da Thrang. Avvicinati, che possa parlarti.»

«Ti sento bene anche da qui, Mago,» rispose la fanciulla. «Quanto più sei vicino, tanto più io debbo fuggire lontano.»

«Ma perché fuggi? Torna indietro con me e sarai padrona di molti segreti. Grande sarà il tuo potere!»

Lei rise. «Se avessi desiderato tutto questo, Mazirian, sarei forse fuggita così lontano?»

«Ma chi sei tu, che non desideri i segreti della Magia?»

«Per te, Mazirian, io non ho nome, perché tu possa maledirmi. Ora me ne andrò dove non potrai seguirmi.» Scese sulla riva ed avanzò lentamente finché l'acqua non le giunse alla vita, quindi s'immerse scomparendo alla vista.

Mazirian si fermò incerto. Non era una buona cosa usare tanti sortilegi e spogliarsi così di ogni potere. Cosa poteva esserci sul fondo del lago? Tutt'intorno v'era un senso di quieta Magia. Sebbene i suoi rapporti col Signore del Lago non fossero cattivi, qualche altra entità avrebbe potuto risentirsi per una violazione di confini. In ogni modo, visto che la sagoma della fanciulla non tornava ad incrinare la superficie, pronunciò l'Incantesimo del Nutrimento Inesauribile ed entrò nell'acqua gelida.

Si tuffò nel profondo del Lago dei Sogni e — coi polmoni in stato di riposo grazie all'incantesimo — scese fino a toccare il fondo. La stranezza fiabesca del luogo lo sbalordì: non c'era tenebra, ma una luce verde scintillava ovunque, e l'acqua era appena meno limpida dell'aria. Delle piante ondeggiavano nella corrente insieme ai delicati fiori del lago dai bocciuoli rossi, blu e gialli, e nell'acqua e tra i fiori scivolavano pesci dai grandi occhi, in forme diverse.

Il fondo scendeva a gradini rocciosi verso una larga pianura dove gli alberi del fondo si muovevano nell'acqua, nascendo da tronchi sottili con foglie elaborate e purpurei frutti d'acqua; ed era così fin dove l'umida caligine non scendeva a velare la vista. Vide la donna, ora bianca ninfa delle acque dai capelli come una nebbia scura: in parte nuotava, in parte camminava sul fondo sabbioso di quel mondo d'acqua, volgendosi di tanto in tanto a guardare indietro. Mazirian l'inseguì, col mantello che fluttuava nell'acqua dietro le sue spalle.

Si stava avvicinando ed esultava. L'avrebbe punita per averlo trascinato così lontano... L'antica sala di pietra sotto il suo laboratorio scendeva profonda e si slargava in camere sempre più vaste quanto più profonde. In una di queste celle Mazirian aveva trovato una grande gabbia rugginosa. Una settimana di catene in quel buio profondo avrebbe piegato la volontà della fanciulla. D'altra parte, già una volta aveva rimpiccolito una donna fino a ridurla alle dimensioni del suo pollice, per poi rinchiuderla in una bottiglia di vetro assieme a due grosse mosche ronzanti...

Tra il verde delle alghe apparve un bianco tempio in rovina. V'erano molte colonne, alcune cadute ed altre che ancora sorreggevano il frontone. La donna entrò nel gran portico all'ombra dell'architrave. Forse tentava ancora di sfuggirgli: doveva seguirla più da vicino. Il bianco corpo di lei brillava all'estremità della navata, nuotava al di sopra dell'aria, nell'abside semicircolare posteriore.

Mazirian la seguì il più velocemente possibile, un po' nuotando, un po' camminando in quell'ombra solenne. Guardò nel buio: delle colonne più piccole sostenevano a fatica una cupola dalla quale era caduto il blocco di pietra centrale. Un terrore improvviso lo colse, quindi la certezza della propria fine, quando vide in un lampo qualcosa muoversi sopra di lui. Da ogni parte le colonne rovinarono al suolo ed una valanga di blocchi di marmo crollò sulla testa del Mago. Egli balzò disperatamente indietro.

Poi il tumulto si quietò e, lentamente, la polvere bianca dell'antica calcina si disperse. Sul frontone principale del tempio la donna, inginocchiata sulle sue ginocchia sottili, guardava in giù, per vedere Mazirian morire come ella aveva voluto.

Ma aveva fallito: due colonne erano crollate ai fianchi del Mago e un lastrone, per pura fortuna, aveva protetto il suo corpo dai blocchi che precipitavano. Egli mosse dolorosamente la testa. Da una fessura tra i blocchi crollati poteva distinguere la donna, china a cercare il suo corpo. Così aveva tentato di ucciderlo! Lui, Mazirian, che aveva vissuto più anni di quanti potesse ricordare! Bene, lo avrebbe odiato e temuto molto di più in seguito! Lanciò il suo incantesimo, il Sortilegio della Sfera Onnipotente. Una pellicola di energia si formò attorno al suo corpo e prese a dilatarsi, spingendo da parte ogni ostacolo. Quando ebbe allontanato da sé le macerie, Mazirian distrusse la Sfera, si alzò in piedi e si guardò intorno in cerca della fanciulla. Ella era ormai quasi fuori di vista, dietro un cespuglio di lunghe alghe purpuree, e risaliva il declivio per tornare a riva. Mazirian prese ad inseguirla con tutte le sue forze.

T'sain si trascinò sulla spiaggia, seguita da Mazirian il Mago, il cui potere aveva distrutto tutti i suoi piani. Ricordò il suo volto e rabbrividì: non doveva assolutamente lasciarsi prendere.

La fatica e la disperazione le fiaccavano le gambe. Aveva lanciato già due sortilegi, quello del Nutrimento Inesauribile e un altro che aveva dato forza alle sue braccia, e le aveva permesso di tenere lontano Thrang e di far crollare il tempio su Mazirian. Non aveva altri incantesimi con sé: ormai era senza potenza. D'altra parte, anche Mazirian doveva aver esaurito i suoi.

Forse Mazirian non conosceva l'Erba-Vampiro! Risalì correndo il pendio e si fermò al di là d'un vasto praticello di un'erba pallida che oscillava al vento. Ed ecco arrivare dal lago Mazirian, esile forma contro lo scintillio dell'acqua.

Ella indietreggiò, tenendo sempre l'innocente praticello tra sé e Mazirian. E se anche l'Erba-Vampiro avesse fallito? Tremo al pensiero di quello che avrebbe dovuto fare.

Mazirian si avviò a grandi passi nel prato. All'improvviso, i delicati steli d'erba si mutarono in altrettante dita fibrose che gli si avvinghiarono alle caviglie immobilizzandolo in una stretta mortale, mentre altre dita cercavano la sua pelle.

Allora Mazirian invocò l'Incantesimo della Paralisi, l'ultimo che gli rimaneva: l'Erba-Vampiro s'illanguidì e scivolò stancamente al suolo. T'sain guardava senza più sperare. Mazirian era ormai vicinissimo. Era dunque infaticabile? Non gli dolevano le fibre, non aveva il fiato corto? Si voltò e fuggì nella radura, dirigendosi verso un boschetto di alberi neri. La sua pelle rabbrividì all'approssimarsi dell'ombra profonda dei tronchi scuri. Ma il rimbombo dei passi del Mago era sempre più forte, ed ella si tuffò nell'ombra paurosa. Prima che tutto il bosco si destasse, doveva essere il più lontano possibile.

Snap! Un colpo di frusta guizzò verso di lei. Continuò a correre. Un altro e un altro ancora. Cadde. Ancora un colpo su di lei, un altro. Si raddrizzò e continuò ad avanzare, proteggendosi il viso con le braccia. Snap! I flagelli sibilavano nell'aria e un ultimo colpo la fece roteare su se stessa. Allora vide Mazirian.

Egli stava lottando disperatamente: mentre i colpi piovevano su di lui, tentava di afferrare i flagelli e di spezzarli ma questi, flessibili ed elastici, sfuggivano alla sua stretta e tornavano a colpirlo. Inferociti dalla sua resistenza, si concentrarono tutti sullo sventurato Mago, che schiumando continuava a battersi con furia sovrumana. T'sain poté così scivolare oltre l'estremità del bosco, salva.

Si guardò indietro, tremando all'idea di vedere il volto di Mazirian, sconvolto dall'ansia di vivere. Era ancora dritto, ostinata sagoma furibonda in una nube di flagelli. S'andava però via via indebolendo, pian piano perdeva le forze. Tentò ancora di fuggire, poi cadde. I flagelli lo ricoprirono. I colpi gli cadevano come una tempesta sul capo, sulle spalle, sulle lunghe gambe. Tentò ancora di sollevarsi, ma ricadde.

T'sain chiuse gli occhi, sopraffatta dalla stanchezza. Sentiva il sangue colare dalle ferite. Ma ancora le rimaneva da compiere la missione più importante. Si rizzò in piedi e si avviò barcollando. Ancora per molto tempo continuò a sentire nelle orecchie i colpi dei flagelli.

Il giardino di Mazirian era meravigliosamente bello, nella notte. I fiori-stella si allargavano, ciascuno d'una magica perfezione, le verdi falene semi-vegetali, prigioniere, si muovevano lentamente nello stagno. I cespugli che Mazirian aveva portato dal Sud, dalla lontana Almeria, riempivano l'aria del dolce profumo dei loro frutti.

T'sain, barcollando e ansando, attraversò a tentoni il giardino. Qualche fiore si destò e la guardò con curiosità. L'ibrido pianta-animale pigolò assonnato verso di lei, credendo di riconoscere il passo di Mazirian. Si udiva il quieto canto nostalgico dei fiori dalle corolle azzurre, un canto che parlava delle antiche notti, quando ancora una Luna bianca nuotava nel cielo, e le grandi tempeste, le nubi e i tuoni decidevano le stagioni.

T'sain passò senza prestare attenzione a nulla. Entrò nella casa di Mazirian e trovò il laboratorio dove risplendevano le eterne lampade gialle. La creatura-cosa dai capelli d'oro nata dall'ampolla si alzò improvvisamente e la guardò con i suoi bellissimi occhi spenti.

Trovò le chiavi di Mazirian nell'armadietto e si aggrappò alla botola per aprirla. A quel punto, crollò al suolo sfinita e chiuse gli occhi alla luce rosata. Arrivarono le visioni: ecco gli strani fiori colorati dal fondo del lago; ecco Mazirian che, perduti i suoi poteri magici, lottava contro i flagelli... Fu destata dalla trance in cui era caduta dalla creatura-cosa, che, timida e maldestra, le accarezzava goffamente i capelli.

Si scosse per ridestarsi e, un po' caminando, un po' scivolando, discese la scala. Aprì i tre chiavistelli della porta di quercia e la spalancò con un ultimo sforzo disperato. Entrò barcollando e si aggrappò al basamento sul quale si trovava la scatola dal coperchio di vetro nella quale Turjan e il drago stavano giocando la loro disperata partita. Scagliò lontano la lastra che s'infranse sul pavimento, e delicatamente sollevò Turjan, poggiandolo sul pavimento.

L'incantesimo fu spezzato dal tocco dell'amuleto che lei aveva al polso e, all'istante, Turjan ridiventò normale. Guardò attentamente e con dolore T'sain, ormai irriconoscibile.

La fanciulla tentò di sorridergli.

«Turjan,» disse. «Sei libero!»

«E Mazirian?»

«Morto.»

Poi scivolò stancamente sul pavimento di pietra e giacque senza vita. Turjan la guardò con una strana emozione negli occhi.

«T'sain, dolce creatura dei miei pensieri,» sussurrò. «Molto più nobile di me, tu che hai sacrificato l'unica vita che conoscevi per liberarmi.»

Sollevò il corpo sulle braccia.

«Ma io ricostruirò il tuo corpo nell'ampolla. Modellerò col tuo cervello un'altra T'sain dolce come eri tu. Andiamo.»

E si avviò, portandola tra le braccia, verso i gradini di pietra.

 

Ron Goulart

PER FAVORE AIUTAMI

 

Ron Goulart ha pubblicato una ventina di romanzi ed un centinaio di racconti brevi: storie paradossali e fantastiche, la maggioranza delle quali sfocia nella satira sociale.

È un grande umorista e, una volta conosciuti i suoi lavori, il lettore gli rimarrà fedele per tutta la vita.

Tra le sue opere migliori troviamo: AFTER THINGS FELL APART (1970), GADGET MAN (1971), SKYROCKET STEELE (1980), e le raccolte di racconti WHAT'S BECOME OF SCREWLOOSE?, OTHER INQUIRIES (1971), e NUTZENBOLTS AND MORE TROUBLES WITH MACHINES (1975).

Si è rivelato uno scrittore migliore nei racconti brevi, e il MEGLIO DI GOULART viene considerato un vero capolavoro.

La storia più estrosa che Ron abbia mai scritto, racconta le difficoltà di una persona trasformata in elefante durante le feste nazionali!

 

La segretaria del Dipartimento Artistico poggiò il suo Albero di Natale sul pavimento e diede un bacio a Max Kearny. «C'è un tale che ti cerca,» gli disse, infilandosi il cappotto e raccogliendo nuovamente l'albero da terra.

Max si sistemò sul suo sgabello. «Proprio l'antivigilia di Natale?»

«Per favore, aiutami ad ammonticchiare questi pacchi sulle braccia,» gli chiese la segretaria. «Ha parlato di un'emergenza.»

Max si allontanò dal tavolo da disegno per sistemare i regali tra le braccia della ragazza. «Chi è? Un seccatore?»

«È un tale di nome Dan Padgett.»

«Ah, si. È un amico che lavora in un'altra agenzia. Digli di salire su.»

«D'accordo. Trascorrerai un bel Natale, vero Max?»

«Certamente l'Esercito della Salvezza avrà organizzato qualcosa di divertente.»

«Parlo sul serio, Max. Non passare la notte seduto in qualche bar anonimo. Comunque, Buon Natale.»

«Anche a te.» Max lanciò uno sguardo alla pianta abbozzata che stava sul tavolo da disegno e, un istante dopo, entrava nella stanza Dan Padgett. «Salve, Dan. Di che si tratta?»

Dan Padgett si fregò le mani. «Coltivi ancora quel tuo strano hobby?»

Max prese una sigaretta dal pacchetto. «Parli delle indagini sui fantasmi? Certo.»

«Ma non sei specializzato solo sui fantasmi, vero?» Dan fece il giro della stanza, poi chiuse la porta.

«No, mi interessa quasi tutto ciò che ha a che fare con l'Occulto. L'ultimo caso su cui ho lavorato riguardava un tale che resuscitava i soldati per farne dei mercenari. Perché me lo chiedi?»

«Ti ricordi di Anne Clemens, quella biondona?»

«Sicuro. Uscivi con lei quando lavoravamo per Bryan-Joseph e Co. Una ragazza piuttosto magra.»

«Snella. Tipo indossatrice.» Dan si sedette e si sbottonò il cappotto. «Voglio sposarla.»

«Proprio in questo momento?»

«Glielo ho chiesto due settimane fa, ma non mi ha ancora dato una risposta. Kenneth Westerland è uno dei motivi.»

«Il presentatore?»

«Sì. Quello che ha creato Majors Bowser. Anche lui esce con Anne.»

«Ma,» fece Max trascinando il suo sgabello lontano dal tavolo da disegno. «Non mi occupo di casi di infedeltà. Se Westerland fosse un vampiro, oppure uno stregone, potrei forse essere in grado di aiutarti.»

«Non è questo il problema. Mi preoccupa il fatto che Anne mi possa rispondere di sì.»

«Perché?»

«Non posso sposarla.»

«Non sei più innamorato di lei?»

«No.» Dan si dondolò sui piedi. «No.» Quindi si fregò le mani, imbarazzato. «No, io l'amo. Il problema riguarda me. Mi dispiace enormemente seccarti l'antivigilia di Natale, ma non posso più farne a meno.»

Max accese una nuova sigaretta con quella ormai finita. «Io non sono ancora riuscito a focalizzare bene il problema, Dan.»

«Durante le Feste mi trasformo in elefante.»

Max si sporse in avanti e guardò l'altro con uno sguardo obliquo. «In elefante?»

«Un elefante grigio di medie dimensioni.»

«Durante le Festività?»

«Più o meno. Tutto è iniziato ad Halloween. Ed è capitato nuovamente il Giorno del Ringraziamento. Fortunatamente mi rimane l'uso della parola durante il verificarsi del fenomeno, e sono stato quindi in grado di spiegare ai miei che non sarei tornato a casa per la tradizionale riunione del Giorno del Ringraziamento.»

«E come hai fatto a formare il numero telefonico?»

«Ho aspettato che mi chiamassero loro. È facile afferrare la cornetta telefonica con la proboscide. Sono riuscito a scoprirlo presto.»

«Di solito la gente si trasforma in gatto oppure in lupo.»

«In quel caso non me ne preoccuperei molto,» obiettò Dan sedendosi. «Trasformarsi in lupo può essere perfino accettabile. Ha un certo fascino. Sarei rimasto calmo perfino se mi fossi trasformato in uno scarafaggio gigantesco, dato il suo valore simbolico. Ma in un elefante grigio di media taglia! Non riesco a pensare che Anne mi possa sposare, quando mi trovo in una simile condizione.»

«Non hai mai preso in considerazione,» disse Max lanciando uno sguardo alla gente per strada attraverso la finestra, «l'idea di essere semplicemente vittima di allucinazioni?»

«Se così fosse, quelle allucinazioni sono piuttosto realistiche. Il Giorno del Ringraziamento ho mangiato un'intera balla di fieno». Dan tamburellava con le dita sulle ginocchia. «Ascolta: la prima volta che avvenne la trasformazione, dopo un po' di tempo mi accorsi di essere affamato. Ma non riuscii a maneggiare quel dannato apriscatole con la mia proboscide. Per cui pensai di procurarmi una balla di fieno da tenere a portata di mano nel caso mi fossi trasformato nuovamente.»

«Per quanto tempo hai avuto l'impressione di assumere le sembianze di un elefante?»

«Ventiquattr'ore. La prima volta mi venne un accidente. Entrambe le volte mi trovavo nel mio appartamento, che ha il pavimento piuttosto massiccio, ma all'inizio cominciai a barrire e a muovermi pesantemente per la stanza. Allora l'inquilino del piano di sopra, uno strano ceramista, iniziò a battere sul pavimento. Immaginai che sarebbe stato meglio per me rimanere tranquillo, per evitare che qualcuno potesse chiamare la polizia perché mi prelevasse e mi portasse allo zoo. Allora aspettai con pazienza cercando di far passare il tempo velocemente, e poi, a mezzanotte, ripresi il mio aspetto originale.»

Max spense la sigaretta nel piccolo piattino metallico posto sul suo tavolo da lavoro. «Non è che mi stai prendendo in giro?»

«No, Max.» Dan gli rivolse uno sguardo fiducioso. «Rientra nel tuo campo? Non saprei a chi altro rivolgermi. Ho cercato di dimenticare, ma ora è quasi Natale. Entrambe le altre volte la trasformazione è avvenuta durante dei giorni di festa. Ed ora sono realmente preoccupato.»

«Licantropia» fece Max. «Ti sei mai avvicinato a qualche elefante di recente?»

«Sono stato allo zoo un paio di anni fa. Ma nessun elefante mi ha colpito o mi è sembrato particolarmente divertente.»

«Si tratta di qualcosa di diverso. Ascoltami, Dan: ho un appuntamento con una ragazza il giorno di Natale al Palo Alto. Ma la vigilia dovrei essere libero. In genere la trasformazione avviene ad un'ora precisa?»

«Se il fenomeno si verifica, mi trasformerò allo scadere della mezzanotte del ventiquattro. Ho già avvertito i miei che avrei trascorso queste vacanze con Anne, mentre a lei ho detto che le avrei passate in famiglia.»

«Il che rende libera la tua ragazza di incontrarsi con Westerland.»

«Quel figlio di puttana!»

«Major Bowser non è poi un cartone animato tanto brutto.»

«Se fosse solo per quello, ti dirò che è addirittura un successo. La voce del cane è la carta vincente. Ma io detesto quel Westerland e l'ho sempre detestato». Dan si alzò dalla sedia. «Ma forse non accadrà nulla.»

«Se accadrà qualcosa, mi potrà fornire qualche indicazione.»

«Speriamo. Allora, Buon Natale, Max. Ci vediamo domani sera.»

Max fece un cenno con il capo, e Dan Padgett uscì dalla stanza. Chino sul suo tavolo da disegno, Max scrisse: Stregoneria? Sul margine della sua pianta.

Rimase in ascolto delle canzoni natalizie per alcuni minuti, poi riprese a disegnare.

 

La balla di fieno frusciò non appena Max vi si sedette sopra. Accese una sigaretta attentamente e lanciò un'altra occhiata al suo orologio. «Manca ancora mezz'ora,» avvertì.

Dan Padgett versò del whisky in una tazza contrassegnata dai nomi Tom & Jerry, e chiuse le tende veneziane. «Mi sono sentito piuttosto stupido mentre trasportavo fin qui la balla di fieno. La gente si aspetterebbe di vederti con in mano un Albero di Natale, in questo periodo dell'anno.»

«Avresti potuto appenderci delle decorazioni.»

«Una operazione simile avrebbe guastato il sapore per quando dovrò mangiare quel fieno.» Dan versò dell'altro whisky e si avvicinò al termosifone, al quale tirò un calcio. «Comincia a fare freddo qui dentro. Ma ho paura di lamentarmi con la padrona di casa. Temo che mi dica: «Chi altri vi permetterebbe di tenere un elefante in camera? Un po' di freddo non dovrebbe preoccuparvi.»

«Sai,» fece Max, «mi sono documentato bene sulla licantropia. Un mio amico dirige una libreria specializzata in libri sui fenomeni occulti.»

«È una materia che sembra avere sempre più successo.»

«Ma sembra che non si sia mai verificato il caso di una trasformazione in elefante.»

«Forse non hanno voluto pubblicizzare il fenomeno.»

«Può darsi. Ma è più verosimile che qualcuno abbia fatto un incantesimo su di te. In tal caso potresti essere trasformato in qualsiasi cosa.»

Dan aggrottò le sopracciglia. «Non avevo mai pensato ad un'eventualità del genere. Che ore sono?»

«Mezzanotte meno un quarto.»

«Un incantesimo dici? E avrei dovuto incontrare la persona che lo ha fatto? Oppure ha operato a distanza?»

«Generalmente è necessario qualche tipo di contatto.»

«Ed ora,» lo avvertì Dan, chinando la testa ed accarezzandosi il naso, «sarebbe il caso che non rimanessi seduto sulla balla di fieno. Agli animali non piace che la gente giochi con il loro cibo,» aggiunse con le gambe divaricate e rigide.

Max si alzò lentamente ed attraversò la stanza. «Sta accadendo qualcosa?»

«No,» disse Dan. Quindi si chinò in avanti toccando il pavimento con le mani. «Avverto semplicemente un po' di prurito. Nello stomaco.»

Quindi Max vide che Dan si stava grattando lo stomaco con la proboscide.

«Dannazione!»

Quando alzò gli occhi, si accorse che un elefante grigio di media taglia lo stava osservando con uno sguardo obliquo. «All'inferno, non pensavo sarebbe accaduto ancora.»

«Posso avvicinarmi?»

Dan fece un cenno con la proboscide. «Non ti calpesterò, sta tranquillo.»

Max lo raggiunse con la mano ed accarezzò un fianco dell'elefante. «Sei davvero un elefante in carne ed ossa!»

«Avrei dovuto ricordarmi di prendere anche dei cavoli. Questo fieno è un po' poco.» Così dicendo, strappava dei ciuffi di fieno dalla balla e se ne riempiva la bocca.

Max si accorse della sigaretta che aveva tra le dita e l'accese. Girò due volte intorno all'elefante e disse: «Ed ora ritorna indietro nel tempo con il pensiero, Dan. Alla prima volta che è successo. Quando è stato?»

«Te l'ho detto. Ad Halloween.»

«Ma Halloween non si può considerare una festa vera e propria. Accadde il giorno dopo, oppure la notte?»

«Aspetta, fammi pensare. Fu prima. Era il giorno successivo al party tenuto dagli Eando Carawan sulla spiaggia.»

«Dove?»

«Sulla Riva Nord. Tennero un party lì. Anne conosce la moglie di Eando. Anche lei si chiama Eando.»

«Perché?»

«Il nome di lui è Ernest, e quello della moglie è Olivia. E-and-O. Per cui entrambi si chiamano Eando. Sono loro gli autori di quei quadri raffiguranti dei bambini dagli occhi da insetto esposti in tutti i negozi della zona. Dovresti conoscerli, dato che anche tu sei un artista.»

Max emise un grugnito. «Ernie Carawan. Sì, lo conosco, Tendeva ad essere un artista indipendente, specializzato nei dipinti di cani. Quando i suoi cani cominciarono ad avere tutti gli occhi da insetto, non ci avvalemmo più della sua collaborazione.»

«Dovresti conoscere Olivia...»

«Cosa accadde al party?»

«Ebbene,» disse Dan strappando dei ciuffi di fieno dalla balla, «ora che ci penso, ricordo uno strano individuo che era presente a quel party. Un tale piuttosto grasso, con circa la tua altezza e sui trentacinque anni. Qualcuno lo aveva definito un mago da palcoscenico, o qualcosa del genere.»

«Vai avanti,» lo incitò Max, «si dice che gli elefanti abbiano una buona memoria.»

«Temo che in quel momento fossi mezzo ubriaco. Per cui non riesco a ricordare tutto ciò che mi disse. Ricordo solo qualcosa a proposito del fatto che mi stava facendo un favore. E poi ricordo un improvviso bagliore.»

«Un bagliore?»

«Un bagliore che lo investì: in pieno. Io gli dissi di... di fare qualsiasi cosa fosse in grado di fare.» Dan smise di colpo di mangiare il fieno. «Ma allora, si tratterebbe di un incantesimo, Max. Sembra impossibile.»

«Stai un momento zitto e mangia il tuo fieno. Qualsiasi cosa è possibile.»

«Hai ragione. Chi avrebbe mai pensato che avrei trascorso il Natale nelle sembianze di un elefante?»

«Per prima cosa occupiamoci di quel Mago,» fece Max. «Come si chiama? Potrebbe sapere qualcosa.»

«Il nome?»

«Sì.»

«Ma io non lo so. Non me lo ha detto.»

«Vuoi dire che è apparso all'improvviso ed ha gettato semplicemente un incantesimo su di te?»

«Tu sai come sono questi party...»

Max trovò il telefono sul tavolo nero vicino alla libreria. «Dov'è l'elenco telefonico?»

«Oh, quello...»

«E allora?»

«Non ce l'ho. L'ultima volta che mi sono trasformato in elefante, l'ho mangiato.»

«Chiederò il numero dei Carawan al Servizio Informazioni per vedere se conosce il nome di quel Mago.»

Carawan non lo sapeva, ma tra gli ospiti che avevano preso parte al suo party la Vigilia di Natale, qualcuno conosceva quell'individuo. Il Mago dirigeva un negozio di sandali sulla Riva Nord. Il suo nome era Claude Waller. Quel che sapevano di lui era che in quel momento ero andato a fare visita alla sua ex-moglie a Los Angeles, e che non sarebbe tornato prima del lunedì o del martedì successivo.

 

Max stava osservando il talloncino con il prezzo di un paio di pantofole di pelle arancione, quando risuonarono i campanellini della tenda posta sul retro del negozio.

«Cercate qualcosa, giovanotto?», chiese l'uomo dall'aspetto pesante che era entrato nella stanza.

«No, signore. Mi scusi.»

«Allora, non desiderate quel paio di pantofole? Si tratta di pantofole speciali. Ci sono anche in verde chiaro. Chi siete?»

«Max Kearny. E voi siete Claude Waller?»

Waller indossava un largo abito marrone. Si sbottonò la giacca e si sedette su uno sgabello davanti al bancone. «Sicuro. Il piccolo vecchio calzolaio.»

Max fece un cenno con il capo.

«Come la storia del piccolo vecchio vinaio.»

«La conosco.»

«Il mio senso dell'umorismo è sempre esplosivo. Come mia moglie. Una grossa bomba. Cosa cercate?»

«Ho sentito dire che siete un Mago.»

«Non è vero.»

«Non lo siete?»

«Non più. Io e la mia ex-moglie, quella femmina dal petto piatto, ci siamo riconciliati. Non so proprio come sia successo. Sono un tipo piuttosto duro. Non mi faccio corrompere facilmente.»

«Lo credo anch'io.»

«Allora, perché dovrei inviarle duecento dollari per raggiungermi qui?»

«Siete ancora in tempo per fermare l'assegno?»

«Ho già spedito il denaro.»

«Allora temo che oramai siate in trappola.»

«In fondo non è cattiva.»

«Conoscete un uomo di nome Dan Padgett?»

«Mai sentito.»

«E cosa mi dite di Ernie Carawan?»

«Eando? Ah, quello sì.»

«La notte di Halloween avete incontrato Dan Padgett insieme ad una ragazza di nome Anne Clemens al party organizzato dai Carawan.»

«Non fa una grinza. E allora potete dirmi cosa c'è scritto sul pezzo di carta che ho in tasca?»

«Ricordate di esservi fermato a parlare con Dan? Potreste aver gettato su di lui qualche specie di incantesimo?»

Waller scivolò in avanti dallo sgabello. «Quindi si trattava di quel tipo. Che io sia dannato. Allora ci sono riuscito!»

«A fare cosa?»

«Avevo completamente perso la testa in quel momento. Ero del tutto fuori di me, sapete. Ebbi quel lampo. Un tizio aveva dei problemi, e questo tizio era Padgett. Non credevo di riuscire realmente a fare qualcosa. L'ho fatto?»

«Si trasforma in elefante durante le Feste.»

Waller lanciò uno sguardo ai propri piedi. Quindi scoppiò a ridere. «Davvero! Che cosa grande! Per quale scopo, secondo voi, dovrei aver fatto una cosa simile?»

«Ditemelo.»

Waller smise di ridere. «Ogni tanto mi capitano questi prodigi, ed è questo che spaventa mia moglie. Non sa mai con chi sta dormendo... Aspettate un attimo.» Prese un martello dal tavolo da lavoro e si batté leggermente il palmo della mano. «Quella ragazza. La bionda. Qual'è il suo nome?»

«Anne Clemens.»

«Ah, sì. È nei guai. È già successo?»

«Cosa deve accadere?»

«Ah!», esclamò Waller. Si era colpito la mano con il martello con una forza tale da procurarsi una forte contusione. «Non riesco a ricordarmi. Ma so di aver gettato sul vostro amico un incantesimo in modo che sia in grado di salvare la ragazza quando verrà il momento.»

Max si accese una sigaretta. «Sarebbe stato più semplice avvertirci del tipo di problemi che avremmo incontrato.»

Waller si sporse per posare il martello alle spalle dell'altro. Non riuscì nell'intento ed il martello rotolò tra una pila di scatole di scarpe. «Ascoltatemi, Kearny. Io non sono un Mago professionista. È come nel gioco del baseball. Talvolta capita in squadra un ragazzo normale, con delle qualità naturali. Per me è lo stesso discorso. Qualità naturali: mi dispiace, giovanotto. Non sono in grado di dirvi altro. E non posso sciogliere l'incantesimo del vostro amico. Non ricordo neanche come l'ho formulato.»

«Non riuscite a ricordare altro circa i problemi che Anne è sul punto di incontrare?»

Waller aggrottò le sopracciglia. «Cani. Una muta di cani. Dei cani che abbaiano nella pioggia. No, non è esatto. Non riesco a ricordare. Non lo so. Ma quel Dan Padgett salverà la ragazza.» Waller si chinò a raccogliere il martello. «Sono abbastanza sicuro di questo.»

«Oggi è martedì. Sabato dovrebbe trasformarsi nuovamente. I guai si verificheranno la vigilia del Nuovo Anno?»

«Giovanotto, se avrò qualche altro presentimento, ve lo farò sapere.»

«Vi darò il mio numero di telefono,» fece Max sulla soglia della porta.

«Potrete farne a meno,» gli disse Waller. «Se ne avrò bisogno, me lo procurerò.».

 

La porta della vecchia casa stile vittoriano, si aprì con un cigolio, e Max afferrò la maniglia e la girò per chiuderla. Lungo le scale che conducevano ai piani superiori, si susseguivano dei ritratti scuri di giovani fanciulle con pony e cani. Dalla porta che si apriva sul piano superiore emanava un fascio di luce attraverso la cornice dorata sulla quale aquile e fiori si attorcigliavano insieme.

«Max Kearny?», chiese Anne Clemens al di là della ringhiera delle scale.

«Salve, Anne. Sei occupata?»

«Per il momento no. Dovrò uscire più tardi. Sono tornata a casa dal lavoro proprio qualche istante fa.»

Era mercoledì sera. Max non era stato in grado di trovare a casa Anne fino a quel momento. «Stava per andare oltre, poi ho pensato di fermarmi.»

«È da qualche mese che non ci si vede,» disse la ragazza mentre Max raggiungeva la porta del suo appartamento. «Entra.»

Indossava una giacca bianca su una sorta di calzamaglia nera. Non era poi così esile come la ricordava Max. I suoi lunghi capelli biondi erano raccolti sulla nuca con un sottile nastro nero.

«Non vorrei farti perdere tempo,» disse Max.

Anne scosse il capo. «Per il momento non devo ancora cominciare a prepararmi.»

«Bene,» Max prese una sigaretta e si sedette sul vecchio sofà che Anne gli indicava.

«Si tratta di Dan, Max?» La tenue luce posta sulla testa le sfiorava i capelli delicatamente.

«In un certo senso.»

«Ha dei problemi?» La ragazza stava seduta di fronte a Max, sul bordo del letto.

«No,» rispose Max. «Ma a Dan è balenata l'idea che tu possa trovarti in qualche guaio.»

La ragazza si inumidì le labbra. «Dan è troppo sensibile sotto certi punti di vista. Penso di sapere cosa intenda dire.»

Max le porse il pacchetto di sigarette.

«No, grazie. La preoccupazione di Dan riguarda Ken Westerland, vero?»

«In parte.»

«Max,» disse Anne. «Ho lavorato per Ken un paio di anni fa. Poi ci siamo separati. Dan non dovrebbe preoccuparsi di questo.»

«Westerland ti sta per caso causando qualche problema?»

«Ken? No, naturalmente. Se a Dan posso apparire un po' esitante, è semplicemente perché non voglio che soffra.» Aggrottò le sopracciglia e distolse lo sguardo. Quindi tornò a fissare Max come se lo fosse apparso in quel momento. «Cosa stavi dicendo? Comunque, non importa. In realtà dovrei cominciare a prepararmi.»

«Se ti occorre qualcosa,» disse Max, «fammelo sapere.»

«Cosa?»

«Stavo dicendo che...»

«Ah, sì: se avrò bisogno di qualcosa. Bene. Se voglio uscire per cena, dovrò sbrigarmi.»

«Studi per caso danza moderna?»

Anne aprì la porta. «Ti riferisci alla calzamaglia? No. È solo perché è comoda. Inoltre non ho alcuna inclinazione per lo spettacolo.» Gli sorrise. «Grazie per la visita, Max.»

La porta si richiuse alle sue spalle e Max si ritrovò nella hall. Rimase fermo il tempo necessario ad accendere una sigaretta, quindi discese le scale ed uscì per strada.

Si era fatto buio. I lampioni stradali erano ormai accesi e stava scendendo il freddo della sera. Max raggiunse la propria auto e si accomodò sul sedile posteriore tenendo d'occhio i gradini anteriori del palazzo di Anne al di là della strada. Accanto alla sua auto vi era un grande spazio vuoto coperto di erba alta e scura. Una volta, in quel punto era sorto un edificio e, quando era stato abbattuto, erano state lasciate intatte le scale di pietra. Max, levò lo sguardo in alto, fissando il vuoto oltre l'ultimo scalino. Scosse il capo, si accese un'altra sigaretta e tornò a guardare l'appartamento di Anne.

La facciate del palazzo era ricoperta da varie piante di zenzero bianco che seguivano gli angoli dell'edificio. Al di là della facciata si apriva un ampio porticato con un tetto sporgente che lo ricopriva.

Circa un'ora più tardi, Kenneth Westerland parcheggiò la sua grigia Mercedes all'angolo della strada. Era un uomo alto e magro di circa trentacinque anni. Il suo viso grassoccio era troppo rotondo, e le guance troppo paffute per la sua corporatura. Portava con sé una piccola valigetta.

Appena Westerland sgusciò all'interno dell'edificio, Max si allontanò dalla sua auto e si avviò con aria indifferente verso l'angolo. Poi attraversò la strada e continuò lungo il prato verso il palazzo di Anne. Sfruttando il cumulo di sacchetti di spazzatura, Max si issò sino al primo piano della scala anticendio senza usare la rumorosa scala a pioli.

Appoggiandosi alla ringhiera della scala antincendio, si accese una sigaretta nascondendo la fiamma del fiammifero. Finita che fu, la spense contro la ringhiera della scala. Quindi si aggrappò al bordo dell'edificio e si arrampicò in cima al portico. Strisciando sullo stomaco, riuscì a risalire lo scosceso piano inclinato. Quindi si nascose in una profusione di edere e di agrifoglio con lo sguardo sempre rivolto alla finestra dell'appartamento interessato.

La finestra dava sulla stanza di soggiorno della ragazza, e Max, dalla sua posizione, era in grado di vedere Anne seduta sulla sedia su cui era stato seduto lui in precedenza. In quel momento indossava un vestito nero ed aveva i capelli sciolti che le ricadevano sulle spalle. Aveva lo sguardo fisso su Westerland. La valigetta dell'animatore si trovava sul tappeto, tra Max ed il suo proprietario. Questi reggeva una catena d'argento tra il pollice e l'indice. All'estremità della catena era appeso un medaglione d'argento scintillante.

Max sgranò gli occhi e si rituffò tra le frasche. Westerland stava ipnotizzando Anne. Sembrava un'immagine presa da una rivista.

Lanciò nuovamente uno sguardo all'interno della stanza e vide Westerland mentre lasciava scivolare il medaglione all'interno della tasca del vestito. L'animatore fece qualche passo in direzione della finestra e Max si sentì mancare.

Dopo un istante diede ancora un'occhiata alla stanza. Westerland aveva aperto la valigetta che conteneva un registratore. Anne aveva in mano il microfono; nell'altra, numerosi fogli di carta tenuti insieme con una graffetta.

Westerland spinse il tavolino davanti alla ragazza e quest'ultima posò sul piano i fogli che aveva in mano. I suoi occhi sembravano fissi ancora nel punto in cui l'animatore aveva tenuto il medaglione.

Westerland sistemò la bobina da registrare nell'apparecchio posto sulle sue ginocchia e, dopo aver pronunciato alcune parole al microfono, lo restituì alla ragazza. Cominciarono quindi a registrare quello che doveva essere un testo scritto.

Dal modo in cui l'animatore alterava l'espressione del viso, si capiva che stava parlando con voci differenti. Il viso di Anne, viceversa, era impassibile mentre parlava. Ma Max non riusciva a percepire nulla.

Appiattendosi ancora contro la superficie del tetto, scivolò sul bordo della vecchia casa ed ondeggiò sulla scala antincendio. Rimase alcuni istanti in attesa per assicurarsi che nessuno lo avesse visto, poi forzò la finestra che conduceva alle scale. Non si trattò di un'operazione molto difficile, in quanto la finestra non era chiusa a chiave. Tuttavia non era stata aperta da molto tempo, per cui cigolò enormemente. Max entrò nella sala e la richiuse. Quindi si avvicinò lentamente alla porta dell'appartamento di Anne e appoggiò l'orecchio al muro per origliare.

Ora riusciva a percepire delle voci lontane. Westerland simulava la voce di vari personaggi. Anne usava un'unica voce, che non era la sua. Ad un tratto Max avvertì qualcosa alle sue spalle. Si voltò e si accorse che la porta dell'appartamento attiguo era aperta. Una ragazza piuttosto grossa, con gli occhiali cerchiati di nero, lo stava fissando.

«Che succede?», chiese.

Max le sorrise, e si avvicinò alla porta del suo appartamento. «Temo non ci sia nessuno in casa. Mi chiedevo se le piacerebbe fare un abbonamento al Seditionist Daily. Se riesco a procurare altri otto abbonamenti, riceverò in premio un panda di peluche.»

La ragazza si accarezzò il mento con aria dubbiosa. «Un panda? Un uomo grande e grosso come voi, non dovrebbe desiderare un panda di peluche.»

Max la fissò per qualche secondo. «In fondo è una cosa sciocca. All'inferno questa robaccia. Ad ogni modo non è che carta straccia. Non ha striscie umoristiche e solo poche parole incrociate. Buona notte, signorina. Scusate il disturbo. Mi avete aperto gli occhi.» Scese le scale non appena la porta si fu richiusa alle sue spalle.

Quanto aveva imparato quella notte non gli aveva fornito alcuna traccia per risolvere il problema di Dan. Ma l'esperienza era stata interessante. In qualche modo, Anne Clemens interpretava la voce del protagonista del cartone animato di Westerland, Maior Bowser.

 

Il venerdì successivo Max aveva scoperto che Westerland aveva lavorato una volta in un night-club come ipnotizzatore. Ma tale informazione non gli dava alcun indizio sul perché Dan Padgett si trasformasse periodicamente in elefante.

Nel primo pomeriggio Dan lo chiamò per telefono, «Max, c'è un problema.»

«Ti sei già trasformato?»

«No, per quanto riguarda me va tutto bene. Ma non riesco a rintracciare Anne.»

«Cosa vuoi dire?»

«Non si è presentata al lavoro oggi. E non ricevo alcuna risposta quando le telefono a casa.»

«Le hai detto per caso qualcosa a proposito di Westerland? Riguardo quanto ho scoperto di lui l'altra notte?»

«Ricordo che mi avevi detto di non farlo. Ma mi hai detto anche che avrei dovuto salvarla da qualche guaio. Ho pensato allora che il modo migliore per farlo, probabilmente, fosse dirle di Westerland.»

«Avresti potuto salvarla nel momento in cui ti fossi trasformato in elefante. Dannazione. Non volevo che la ragazza sapesse quello che stava facendo Westerland.»

«Se ti è di qualche aiuto, ti avverto che Anne non era assolutamente al corrente del fatto di impersonare Major Bowser. Ed era convinta di essere andata a cena fuori con Westerland mercoledì scorso.»

«Non mi stupisce che sia così magra. D'accordo. Cos'altro ti ha detto?»

«Pensava che la stessi prendendo in giro. Poi mi è sembrata piuttosto convinta. Mi ha chiesto perfino quanto ne avrebbe ricavato dalla serie Westerland secondo me.»

«Grandioso,» disse Max tracciando delle linee spesse sul suo blocchetto degli appunti. «In questo momento probabilmente è andata da lui a chiedere gli arretrati, o qualcosa di simile.»

«È così brutta la situazione?»

«Non lo sappiamo ancora.» Max lanciò uno sguardo all'orologio. «Riuscirò a scoprirlo tra un po'. Andrò prima nell'appartamento di Anne per dargli un'occhiata. Poi controllerò quello di Westerland. Abita in California Street. Ti chiamerò non appena non avrò trovato qualcosa di importante.»

«Nel frattempo,» disse Dan, «sarà meglio che veda di procurarmi un'altra balla di fieno.»

 

Nell'appartamento in cui entrò Max, non v'era traccia di dove si potesse trovare Anne. Né fu più fortunato in quello di Westerland, dove penetrò attraversò il lucernario.

A mezzogiorno Max si chiese se avrebbe dovuto credere alla predizione di Waller per cui Dan avrebbe salvato Anne al momento opportuno.

Accese una sigaretta e gironzolò per il proprio appartamento. Diede poi un'occhiata ad alcuni libri che aveva raccolto sull'occultismo.

Squillò il telefono.

«Sì?»

«Qui, parla il negozio di sandali di Waller.»

«Il Mago?»

«Esatto, giovanotto. Siete voi, Kearny?»

«Sì, cosa c'è?»

«Ho avuto un flash.»

«Ed allora?»

«Andate a Sausahto.»

«E poi?»

«Questo è quanto mi ha comunicato il flash. Voi ed il vostro amico dovete raggingere Sausahto. Oggi. Prima della mezzanotte.»

«Non avete avuto altri particolari?»

«Spiacente. La mia ex-moglie è arrivata l'altra notte, ed io ero troppo sconvolto per percepire un flash più dettagliato.» La linea si interruppe bruscamente.

«Sausahto?», ripeté Dan quando Max lo chiamò.

«È quel che dice Waller.»

«Un attimo,» esclamò Dan. «La ex moglie di Westerland?»

«Anche lui ne ha una?»

«Sua moglie ha una casa da quelle parti. Ricordo di esserci andato una volta con Anne ad un party. Prima che Westerland ottenesse il divorzio. Anne non potrebbe essere lì?»

«Alla signora Westerland non seccherebbe?»

«No, in questo momento la signora è in Europa e... Max! La casa dovrebbe essere vuota ora. Anne dev'essere lì. Ed è in pericolo.»

 

La casa era piuttosto lontana dalla strada che attraversava le basse colline di Sausahto, la città che si trovava oltre il Golden Gate Bridge provenendo da San Francisco. Si trattava di un edificio basso, fatto di legno rosso e di vetro.

Max e Dan avevano parcheggiato la macchina nelle vicinanze. Max si era messo alla guida ed i due discesero le colline attraverso una distesa di alberi, verso la parte posteriore della casa di Westerland. La luce nel crepuscolo faceva scintillare, poi oscurava, e poi faceva scintillare nuovamente le vetrate della casa mentre i due si avvicinavano. Un'alta siepe cingeva il patio e, quando Max e Dan furono abbastanza vicini, la vista della casa apparve loro ridotta.

«Pensi che si trovi qui?», chiese Dan.

«Dovremmo riuscire ad individuare qualche segno di vita,» rispose Max. «Sto diventando uno spione di prima classe. Non faccio altro che guardare furtivamente nelle case della gente.»

«Pensa che sia un lavoro da detective,» fece notare Dan. «Di quelli che si occupano di occultismo.»

«Aspetta,» lo interruppe Max. «Ascolta.»

«Cosa?»

«Ho sentito l'abbaiare di un cane.»

«In casa?»

«Sì.»

«Vuol dire che c'è qualcuno all'interno.»

«Vuol dire che probabilmente Anne si trova all'interno. Sono abbastanza sicuro che si trattasse della voce di Major Bowser.»

«Salve, amici,» fece una voce dal timbro acuto.

«Salve,» rispose Max, voltandosi verso l'uomo calvo alle loro spalle.

«Perdiana,» disse l'uomo, puntando un dito su di loro, «questo mi risparmia un sacco di lavoro. Il capo mi aveva mandato in giro tutto il giorno a cercarvi. E, proprio quando ci avevo ormai rinunciato ed ero sul punto di ritornare con la coda tra le gambe... eccovi qui.»

«Chi è il tuo capo?»

«Lui: Westerland. Io sono un gangster a tempo pieno. Assunto per acchiapparvi.»

«Ci hai presi,» gli disse Max.

«Ascoltatemi, vi dispiace se gli dico di avervi acchiappato a San Francisco? Mi farebbe sembrare più efficiente.»

«Te lo concediamo,» rispose Max, «se ci farai scappare. Digli che ti abbiamo messo a terra con delle mosse di karate. Potremmo perfino romperti un braccio, per rendere le cose più credibili.»

«No,» rispose il calvo. «Lasciate perdere. Volete troppe cose. Andate dentro.»

Westerland stava aprendo il frigorifero quando il gangster gli portò Max e Dan in cucina.

«Ci sei riuscito, Lloyd,» notò Westerland prendendo una bibita dal comportamento del freezer.

«Ho studiato bene le fotografie che mi avete dato.»

«Dov'è Anne?», chiese Dan.

Westerland stappò la bibita. «È qui. Ci serve solo un minuto per terminare la nostra registrazione. Accomodatevi.»

Quando i quattro uomini furono riuniti intorno al tavolo di legno laccato di bianco, Westerland si rivolse a Max: «Voi, signor Kearny.»

Max prese il pacchetto di sigarette e lo mise sul tavolo davanti a lui. «Sì?»

«Il vostro lavoro di detective sarà la vostra rovina.»

«Non ho fatto altro che sbirciare attraverso alcune finestre. Si tratta più di acrobazia che di un'indagine vera e propria.»

«Cionondimeno, mi state spiando. Il vostro atteggiamento iperprotettivo nei confronti della signorina Clemens, vi ha fatto inciampare in uno dei segreti più gelosamente custoditi dell'industria del trattenimento.»

«Intendete parlare dell'interpretazione di Anne della voce di Major Bowser?»

«Esattamente,» rispose Westerland, mentre le guance rotonde si incavavano nel bere un sorso della bibita. «Ma ora è troppo tardi.»

Dan batté leggermente sul piano del tavolo. «Cosa intendete dire?»

«Ho completato la registrazione della voce per l'episodio n. 78 F di Major Bowser. Ed ora ho una nuova serie in lavorazione. Entro pochi mesi il cartone otterrà l'autorizzazione per uscire su un mercato secondario. Questo significa che non ho più bisogno di Anne Clemens.»

Dan strinse i pugni. «Allora lasciatela andare.»

«Perché avevate bisogno di lei?», chiese Max fissando l'animatore.

«La ragazza è un talento naturale,» disse Westerland, bevendo l'ultimo sorso della bibita. «La prima volta che fece quella voce fu due anni fa. Me ne accorsi alla fine di un party. Doveva aver bevuto troppo. Ed io pensai che quella voce era divertente. Il giorno dopo la ragazza aveva dimenticato tutto. Non riusciva neanche a ricordare la voce. Allora, invece di insistere, ho sfruttato le mie capacità di ipnotizzatore. Ho un libro intero pieno di schizzi di quel dannato cane. La voce ebbe fortuna. Si armonizzava bene col cane. Ed io la usai.»

«E guadagnaste centomila dollari,» concluse Dan.

«I testi sono miei. E anche un poco del disegno.»

«Ed ora?», chiese Max.

«La ragazza ne è al corrente. Pensa di sposarsi e di mettere su famiglia. Mi ha chiesto se cinquemila dollari avrebbero rappresentato una giusta percentuale dei profitti ottenuti con il cartone animato.»

«E varrebbe per tutti i settantotto spettacoli?», chiese Max.

«Potrei tirare sul prezzo,» rispose Westerland. Si avvicinò ancora al frigorifero. «Limone, cedro, uva, melone. Come è il sapore dell'uva? Buono. Prendo l'uva.» Rimase per un istante accanto al tavolo senza aprire la bibita. «Ma mi è venuto in mente che ho un'alternativa. Ho deciso di eliminarvi tutti. È un modo molto più economico di risolvere le cose.»

«State scherzando,» disse Dan.

«Gli animatori agli occhi della gente sono degli individui amabili come Walt Disney», rilevò Max.

«Io sono per prima cosa un uomo d'affari. Non posso più sfruttare Anne Clemens. Ci occuperemo prima della ragazza e poi di voi, in una fase successiva. Lloyd, chiudi questi detective nello scantinato.»

Lloyd indicò una porta dietro la stufa, sogghignando. Max e Dan furono spinti giù per una larga rampa di scale di legno e poi in una stanza piena dell'odore di vecchi giornali e di mobili inutilizzati. Tra le travi del soffitto vi erano delle piccole finestre impolverate.

«Uno scantinato non troppo brutto,» bisbigliò Dan a Max.

«Ma voi rimarrete qui,» disse Lloyd. Con la pistola puntata su di loro, girò intorno ad un triciclo caduto in terra avvicinandosi ad un'ampia porta di quercia situata in una parete di cemento. Da un gancio posto sulla parete pendevano un lucchetto ed una catena. Lloyd fece scivolare il chiavistello ed aprì la porta. «È la cantina del vino: me l'ha fatta vedere stamattina. Vino non ce n'è, ma è confortevole. Vi piacerà.»

Li fece entrare all'interno e rinchiuse la porta con il chiavistello. Si sentì il tintinnìo della catena e lo scatto del lucchetto.

Max sbatté gli occhi. Accese un fiammifero e si guardò intorno. La stanza di cemento era alta circa dodici piedi e larga dieci.

Dan si diresse verso una vecchia panchina di pietra, in un angolo della stanza. «Riesci a vedere l'orologio al buio?», chiese, non appena si spense il fiammifero.

«Sono le cinque e mezzo.»

«Il Mago ha ragione. Siamo nei guai.»

«Sto pensando...», disse Max accendendo un altro fiammifero.

«Ti stai chiedendo cosa farà ad Anne quel figlio di puttana?»

«Sì,» rispose Max, scorgendo un barile vuoto. Lo voltò e vi si sedette sopra.

«E cosa farà a noi?»

Max si accese una sigaretta con la fiamma morente del fiammifero. «Farà scendere del gas attraverso il soffitto, riempirà la stanza di acqua e farà restringere le pareti.»

«Westerland è un uomo astuto. Probabilmente ci ipnotizzerà in modo da farci credere dei fagiani e poi ci libererà il giorno in cui si aprirà la stagione di caccia.»

«Mi chiedo come faceva Lloyd a conoscere il nostro aspetto fisico.»

«Anne ha una mia fotografia nella borsa. Quella che abbiamo scattato una volta ad un party sulla spiaggia.»

Max si appoggiò alla parete scura dietro di sé. «È una stanza più o meno di medie dimensioni, vero?»

«Non me ne intendo. L'unico corsso di architettura che ho seguito a scuola, era sulla pittura con i colori ad acqua.»

«Tra sei ore, tu sarai un elefante di medie dimensioni.»

La panchina di Dan si mosse provocando un rumore fragoroso. «Pensi che funzionerà?»

«Dovrebbe. In quale altro modo altrimenti possiamo uscire di qui?»

«Sfascerò la porta come farebbe un elefante vero e proprio.» Schioccò le dita. «Ma non è un'impresa da poco.»

«Dovresti essere in grado di farlo.»

«Ma, Max...»

«Sì?»

«E se non mi trasformo?»

«Ti trasformerai.»

«Abbiamo solo la parola di un calzolaio dedito all'alcool.»

«Sapeva di Sausalito.»

«Poteva essere d'accordo.»

«È davvero un Mago. Ne abbiamo le prove.»

«Max?»

«Hmm?»

«Forse Westerland ci ha ipnotizzato facendoci credere che mi ero trasformato in elefante.»

«Come sarebbe riuscito ad ipnotizzare me? Non lo vedevo da anni.»

«Potrebbe averti ipnotizzato, e poi avertelo fatto dimenticare.»

«Dan,» disse Max. «Rilassati. Se dopo la mezzanotte saremo ancora qui, potremo pensare a delle giustificazioni.»

«Come facciamo a sapere che non farà del male ad Anne prima della mezzanotte?»

«Non lo sappiamo.»

«Tentiamo di sfasciarla ora.»

Max accese un fiammifero e si alzò in piedi. «Non penso che queste doghe del barile siano adatte. Vedi qualche altra cosa?»

«I piedi della panchina. Potremmo svitarli e buttare giù la porta con quelli.»

Svitarono allora i piedi di legno e, prendendone uno ciascuno, cominciarono a battere contro il chiavistello.

 

Dopo alcuni minuti si sentì l'eco di una voce. «Smettetela con quel rumore.»

«Andate all'inferno,» rispose Dan.

«Aspettate un attimo,» fece la voce di Westerland. «Non riuscirete mai a buttar giù quella porta. E, anche se riusciste a farlo, Lloyd vi sparerebbe. L'ho inviato laggiù per fare la guardia. L'altra sera, al Parco dei Divertimenti, ha vinto quattro bambole Betty Boop al Tiro a Segno. Siate ragionevoli.»

«Com'è che vi sentiamo?»

«Sto parlando attraverso l'apertura dell'aria.»

«Dov'è Anne?», urlò Dan.

«Ancora in trance. Se vi comportate bene, potrei farla abbaiare per voi prima di andarcene.»

«Siete un pidocchio.»

Max cercò Dan nell'oscurità e lo afferrò per un braccio. «Prendilo con le buone.» Poi alzò la voce. «Westerland, quanto tempo resteremo qui?»

«Vediamo, la mia ex-moglie rimarrà a Roma fino ad aprile. Spero di aver terminato per quel periodo. Al momento, comunque, non ho tempo da perdere. Devo prepararmi per il party.»

«Quale party?»

«Il party per la vigilia del Nuovo Anno dai Leverson. È quello dove Anne Clemens berrà molto.»

«Cosa?»

«La ragazza berrà troppo e penserà di essere diventata un'acrobata. Si farà prestare un'automobile e si dirigerà verso il Golden Gate Bridge. Quando tenterà di mantenersi in equilibrio sulla sponda del ponte, scoprirà di non essere una acrobata e che in realtà ha un terribile terrore delle altezze. Ma io ne verrò a conoscenza quando mi troverò ancora al party dei Leverson. E mi rattristerò molto che sia stata in grado di vedere così poco del Nuovo Anno.»

«Non potete farle questo. L'ipnotismo non funziona in quel modo.»

«Lo dite voi, Padgett. Domani mattina vi farò passare un giornale da Lloyd sotto la porta.»

Il contatto si interruppe.

Dan batté un pugno sulla parete di cemento. «Non può farlo.»

«Chi sono i Leverson?»

Dan rimase silenzioso per un istante. «Leverson. Joe e Jackie. Non è il Direttore Artistico della BBDO? Lui e sua moglie vivono proprio nell'appartamento sopra al ristorante di Sally Stanford. Potrebbe trattarsi di loro.»

«C'è ancora tempo a mezzanotte,» notò Max. «Ma ho la sensazione che ce la faremo.»

«Dobbiamo salvare Anne,» disse Dan, «e sembra non ci sia altro da fare se non aspettare.»

«Dannazione, che ora è, Max?»

«Le sei e mezzo.»

 

«Devono essere quasi le otto, ora.»

«Sono le sette ed un quarto.»

«Penso di sentirli ancora.»

 

«Ed ora?»

«Poco dopo le nove.»

 

«Solo le dieci? Ma funziona quell'orologio?»

«Sì.»

 

«Non sono ancora le undici, Max?»

«Tra cinque minuti.»

 

«Ormai saranno usciti, ne sono sicuro.»

«Rilassati.»

 

«Stai attento, lo avvertì Dan, quando Max gli disse che era mezzanotte meno un quarto, «non voglio venirti addosso quando mi trasformo.»

«Mi accovaccerò sul pavimento ai tuoi piedi. Ai tuoi piedi reali. Per cui, quando ti sarai trasformato, mi dovrei trovare sotto il tuo stomaco.»

«D'accordo. Poi saltami sulla schiena.»

A mezzanotte meno cinque, Max si rannicchiò sul pavimento di pietra. «Buon Anno.»

I piedi di Dan si spostarono a fatica, divaricandosi. «Lo stomaco comincia a prudermi.»

Max si strinse ancora di più. Nel buio una figura ancora più nera sembrò crescere sulla sua testa. «Dan?»

«L'ho fatto, Max.» Dan scoppiò a ridere. «Mi sono trasformato puntualmente.»

Max si alzò lentamente e si arrampicò sulla schiena dell'elefante. «Sono salito in groppa.»

«Reggiti forte. Spingerò la porta con la testa.»

Max si aggrappò a lui e rimase in attesa. La porta cigolò, e poi cominciò a cedere.

«Badate bene,» urlò Lloyd dall'esterno.

«Barriscigli contro,» disse Max.

«Buona idea,» a Dan emise un barrito violento ed arrabbiato.»

«Mio Dio!», esclamò Lloyd.

La porta si sfasciò e la proboscide di Dan sbatté con forza Lloyd contro la caldaia. La sua pistola volò nel cesto dei vestiti. Max saltò giù e la recuperò.

«Vattene,» disse a Lloyd.

Questi si soffiò il naso. «Che razza di scherzo è questo?»

«Se non te ne vai,» disse Max, «ti calpesteremo.»

«Calpestiamolo ugualmente,» disse Dan.

Lloyd fuggì via.

«Dannazione,» esclamò Dan. «Come farò a salire quelle scale?»

«Non ce la farai,» disse Max. Poi indicò un punto. «Guarda lì, dietro quel mucchio di giornali. Una porta. Vado a vedere se è aperta.»

«Che importa? L'aprirò io.»

«D'accordo. Vado a cercare un elenco telefonico per vedere dov'è l'indirizzo dei Leverson. Ci incontriamo nel patio.»

Dan lanciò un barrito, e Max salì di corsa le strette scale di legno.

L'elefante si precipitò giù per le colline erbose. Tutto intorno a loro risuonavano i corni per il Nuovo Anno.

«Solo due Leverson, hmm?», chiese ancora Dan.

«Molto probabilmente si tratta del Direttore Artistico. Si trova più vicino al ponte.»

Sbucarono sul ponte che correva sopra il corso d'acqua.

Dan barriva contro automobili e persone per farsi strada e Max stava piegato giù, stretto alle grandi orecchie dell'elefante.

Seguirono la curva della strada e si diressero verso la casa dei Leverson. «Dovrebbe essere questa,» disse Dan.

La vecchia casa a due piani aveva diverse finestre illuminate, oppure adombrate per la presenza delle persone. «Sicuramente è un party,» osservò Max.

Nel lungo viale pieno di curve, si udì il rombo di un'auto. «Una macchina,» disse Dan, correndo sulla ghiaia.

Max saltò giù, mentre Dan bloccava il passaggio con il suo corpo.

Le luci posteriori rosse colorarono il gas proveniente dal tubo di scappamento di una piccola Jaguar decappotabile. Max corse intorno alla macchina. Anne Clemens diede uno strattone al volante e girò la macchina. Max si lanciò sul sedile posteriore dell'auto ed afferrò la chiavetta d'accensione. Anne continuò a girare il volante.

Max la prese per le spalle, uscì fuori dell'auto e tirò su la ragazza, per cui Anne si ritrovò in ginocchio sul sedile del guidatore.

La ragazza scosse il capo due volte e lanciò uno sguardo al di sopra della spalla di Max.

Questi aveva aperto la portiera e l'aveva aiutata ad uscire. La ghiaia sembrò scivolare in tutte le direzioni.

«Cara,» urlò Dan ancora nelle sembianze di elefante.

Max non si voltò. Si lasciò andare trascinando la ragazza.

Un colpo creò il disegno di una ragnatela sul parabrezza.

«Avete rovinato tutto,» urlò Westerland. «Voi e quel dannato elefante avete rovinato il mio piano.»

Le luci dell'area del parcheggio si erano accese ed un cerchio di persone si erano avvicinate alle spalle di Westerland. Questi si trovava a circa venti piedi da Max ed Anne.

Quindi si lanciò in avanti mentre la proboscide di Dan gli faceva saltare via la pistola.

Dan sollevò in alto l'animatore e cominciò a scuoterlo.

Max aveva Anne accovacciata ai suoi piedi e la sosteneva. «Fatela uscire dalla trance, Westerland.»

«In una valigia di porco.»

Dan lo lanciò in aria e poi lo riafferrò.

«Avanti.»

«Dato che siete così bellicoso,» disse Westerland, «fatemi penzolare vicino alla ragazza.»

Max aveva la pistola di Lloyd nella tasca della giacca. La prese e la puntò contro l'animatore. «Niente trucchi.»

Westerland schioccò le dita accanto al viso pallido di Anne.

La ragazza ebbe un fremito e cadde contro Max. Questi la sostenne tra le braccia.

Dan fece improvvisamente cadere Westerland per terra e, lanciando un barrito agli invitati stupefatti, se ne andò via al galoppo perdendosi nell'oscurità.

Appena il suo barrito si spense, si udì nella notte il fischio di una sirena.

 

«Veri detective,» disse Max.

Sia Anne che Westerland erano fuori nel parcheggio. Ma gli altri invitati erano troppo lontani per sentirlo.

Quindi Max avvertì un fruscio in un cespuglio alle sue spalle e voltò la testa.

Dan, nell'aspetto originale, li raggiunse. «Ti dispiacerebbe se sostenessi io, Anne?»

Max la passò con cautela all'amico. «Quando rinverrà, dovrebbe sentirsi bene.»

«Cosa le diremo?»

«La verità. Eccetto che dell'elefante.»

«Come siamo arrivati fin qui?»

«La mia automobile non è partita. Abbiamo immaginato che l'avesse manomessa. Allora abbiamo chiesto ad un automobilista di passaggio di portarci qui.»

«La gente ha visto l'elefante.»

«È scappato da uno zoo.»

«Quale zoo?»

«Ascoltami,» disse Max facendo scivolare la pistola nella tasca, «non essere così pignolo su questo punto. Non siamo costretti a spiegarlo. D'accordo?»

«Va bene. Grazie, Max.»

Max si accese una sigaretta.

«Ho ripreso l'aspetto originale solo dopo un'ora. Non penso che mi accadrà più. Max. E tu?»

«Se ti può far sentire meglio, trascorrerò la notte della vigilia del Compleanno di Lincoln con te ed Anne.»

«Cos'è successo?», chiese Anne. Lanciò uno sguardo a Dan. «Dan, Cos'è stato?»

«Nulla. Un piccolo problema con Westerland. Poi te lo spiegherò.»

Max fece un cenno con il capo e si avviò lungo il viale per andare incontro alla polizia che si avvicinava. Poi si sentì il corno del Nuovo Anno provenire da un punto indefinito della notte.

 

Larry Niven

A CHE SERVE UN PUGNALE DI VETRO?

 

Larry Niven è semplicemente sorprendente. Famoso per la sua letteratura di fantascienza «pura» come RINGWORLD (1970), ed il suo seguito THE RINGWORLD ENGINEERS (1980) da noi pubblicato nella collana Orizzonti e che gli ha valso il Premio Hugo, si rivela anche un maestro del genere fantastico, e libri come THE FLYING SORCERERS (1971, con David Gerrold) e THE MAGIC GOES AWAY (1978) sono straordinariamente popolari.

Insieme a Larry Pournelle ha formato una delle coppie di maggiore successo della letteratura di fantascienza. Ospite frequente delle prime assemblee, ha vinto cinque Premi Hugo ed un Nebula fino ad ora.

«A CHE SERVE UN PUGNALE DI VETRO?» è la seconda di una serie di storie in cui Larry Niven cerca di dare una spiegazione scientifica della Magia, ed inoltre sì sforza di trovare un fondamento logico alla licantropia.

 

I

 

Dodicimila anni prima della nascita di Cristo, in un'epoca in cui i miracoli erano in qualche modo più comuni, uno Stregone si servì di un antico Segreto per allungare la propria vita.

Negli anni successivi tuttavia, quell'uomo rimpianse di aver fatto uso di una simile pratica. Aveva conservato il Segreto della Ruota dello Stregone per un periodo equivalente ad un numero svariato di vite. La spada del Demonio Glirendree ed il suo stupido prigioniero barbaro senza alcun dubbio lo avrebbero ucciso, ma nessun Demone poteva riuscire così pericoloso come quel Segreto.

Ma ora il segreto era stato scoperto, diffondendosi all'esterno come le onde in uno stagno. La battaglia tra Glirendree e lo Stregone era una storia troppo bella per non raccontarla. Presto nessun uomo si sarebbe definito Mago se non avesse saputo che la Magia si sarebbe potuta esaurire. Un segreto poteva essere allo stesso tempo semplice e pericoloso. La cosa sorprendente era che nessuno l'avesse notato prima.

L'anno seguente la battaglia con Glirendree, nel crepuscolo di una giornata estiva, Aran il Pacificatore, giunse al villaggio di Shayl per rubare la Ruota dello Stregone.

 

Aran era un ragazzo magro di diciott'anni dalla corporatura esile. Aveva il volto lungo ed ossuto con il mento appuntito, e un paio di occhi scuri ed incavati che scrutavano sempre intorno. I capelli corti e lisci gli ricadevano fin sulle sopracciglia formando una folta visiera sulla fronte. Il suo aspetto esteriore non costituiva un segreto per nessuno e, chiunque gli avesse toccato le mani, l'avrebbe riconosciuto immediatamente per via della folta peluria che gli cresceva sul palmo. Ma se qualcuno avesse saputo della sua missione, l'avrebbe preso per matto.

Perché lo Stregone era a capo della Corporazione dei Maghi. Si sapeva che aveva un nome, ma nessuna gola umana era in grado di pronunciarlo. Il Demone Spettrale che era stato suo padre, era stato successivamente imprigionato in un tatuaggio posto sulla schiena stessa dello Stregone: costituiva una guardia del corpo singolarmente pericolosa.

Tuttavia Aran era giunto ben protetto. La sacca di pelle che gli pendeva dalle spalle, era vecchia e logora, e le cuciture erano tutte allentate. Apparentemente doveva contenere noci, formaggio e pane, e quasi nessuna moneta. Ma quel che la rendeva di valore era l'incantesimo. La Magia sarebbe servita al ragazzo meglio delle noci e del formaggio, ed Aran riusciva a nutrirsi perfettamente durante il viaggio, anche di notte.

Raggiunse la caverna dello Stregone poco dopo il tramonto. Gli era stato insegnato come usare la sua Magia per eludere la guardia del corpo dello Stregone. L'uso dell'Arte Magica implicava la necessità di modificare la voce e le mani, per cui Aran era stato costretto ad assumere sembianze umane; e questo lo rendeva doppiamente nervoso. Al sorgere della luna, il ragazzo cantò le parole che aveva imparato, poi prese un pipistrello vivo dalla sua borsa e lo lanciò delicatamente attraverso l'entrata sbarrata della caverna.

Il pipistrello esplose in una pioggia di sangue che scorse di traverso lungo il pavimento di pietra. Aran avvertì lo stomaco in subbuglio. Era quasi sul punto di correre via, ma poi soffocò la paura ed avanzò, stringendosi per potersi infilare tra le sbarre.

Quelli che lo avevano inviato in missione, gli avevano preparato diversi schemi della caverna. Sarebbe riuscito a rubare perfino con gli occhi bendati. Comunque avrebbe preferito l'oscurità alla luce blu tremolante che proveniva da un tubo illuminato ed appeso al centro della caverna. Si mosse velocemente, ricalcando scrupolosamente quello che, come gli era stato detto, doveva essere un sentiero sicuro.

Sebbene Aran avesse visto degli strumenti stregati nel laboratorio di addestramento alla Scuola della Grammaree Mercantile in Atlantide, la maggior parte degli arnesi dello Stregone gli erano sconosciuti. Si fermò accanto ad una panca, immerso nei pensieri. Perché mai lo Stregone avrebbe dovuto affilare un pugnale di vetro?

Poi Aran trovò un disco metallico ossidato e annerito, sospeso al di sopra della panca di lavoro, e le iscrizioni intorno al suo bordo lo convinsero che era quello l'oggetto che cercava. Lo prese e se lo assicurò velocemente vicino alla coscia per avere le mani libere per combattere, all'occorrenza. Si stava voltando per andare via, quando una risata echeggiò nell'aria.

«Metti giù quell'arnese, figlio rognoso di un cane...»

Aran si trasformò in lupo.

Ma sentì un dolore lancinante alla coscia!

In sembianze umane, Aran era un ragazzo dalla corporatura piuttosto esile: come lupo, era incredibilmente grosso e pericoloso. Ma questa volta la trasformazione non gli era andata troppo bene. Il dolore era accecante, terribile. Aran il lupo urlò cercando di sfuggire a quel tormento.

Si risvegliò gradatamente, con un forte mal di testa ed un dolore ancora più lancinante alla coscia, ai polsi ed alle caviglie legate. Gli venne in mente che doveva aver urtato contro la parete.

Giaceva disteso su un fianco con gli occhi chiusi, e non diede alcun segno di essere sveglio. Con lentezza cercò di allargare le mani. Ma si accorse di essere stato legato, mani e piedi. Eppure, gli era stata insegnata una parola per sciogliere le corde.

Sarebbe stato più opportuno, però, non usarla fintantoché non ne avesse saputo di più della situazione.

Aprì leggermente gli occhi.

Lo Stregone stava accanto a lui, seduto nella posizione del Loto, e studiava Aran con un sorriso di disprezzo, in una mano reggeva una sottile bacchetta di salice.

Lo Stregone era un uomo piuttosto alto dotato di una robusta corporatura. Era molto abbronzato. Le leggende dicevano che non usava mai vestirsi al di sopra della cintola. La sua età sembrava indefinibile; poteva avere venti come cinquant'anni. In realtà ne aveva centonovanta, e se ne vantava. Le sue condizioni fisiche dimostravano il potere della sua Magia.

Alle sue spalle, Aran vide che la Ruota dello Stregone era stata nuovamente riposta sulla parete.

In attesa forse della prossima vittima? La Ruota dello Stregone vera e propria era di rame; coloro che avevano inviato Aran, lo sapevano molto bene. Ma questa esca doveva essere fatta di argento ossidato, per avergli procurato un dolore così forte.

Lo Stregone assunse uno sguardo pensieroso ed assente. Probabilmente Aran avrebbe avuto la possibilità di farcela se fosse riuscito a coglierlo di sorpresa. Allora disse: «Kplir...»

Lo Stregone lo colpì alla gola.

La verga di salice era molto flessibile. Aran si sentì soffocare e rimase senza fiato; mosse la tesca per respirare un po' d'aria.

«Quella parola ha quattro sillabe,» lo informò con una voce che riconobbe. «Tu non riuscirai mai a pronunciarla.»

Aran deglutì.

«Voglio sapere chi ti ha mandato.»

Aran non rispose, sebbene avesse riacquistato il fiato.

«Tu non sei un ladro comune. Ma neanche un Mago,» osservò lo Stregone pensosamente. «Ti ho sentito. Stavi cantando a memoria. Hai usato gli incantesimi fondamentali, incantesimi facili da indovinare, ma erano gli incantesimi giusti di una volta.

«Qualcuno sta utilizzando la previsione e la preveggenza per spiarmi. E questo qualcuno conosce troppe delle mie difese,» disse il vecchio Mago. «A me questo non piace. Voglio sapere chi è e perché.»

Aran nuovamente non rispose, e lo Stregone continuò: «Sapeva tutto di me e sapeva cosa ero diventato, ma ha preferito andare avanti per intuizione più che venire a controllare lui stesso. Ed ha mandato uno sciocco». Lo Stregone fissava gli occhi di Aran. «O forse ha creduto che un licantropo potesse avere una possibilità in più nei miei confronti. Ad ogni modo, ci sono dei fili d'argento in queste corde, per cui faresti meglio a mantenere le sembianze umane per il momento.»

«Tu sapevi che stavo arrivando.»

«Oh, ho avuto un forte avvertimento. Non ti è mai venuto in mente che anch'io potessi prevedere gli avvenimenti? Il tuo maestro ci ha pensato,» disse Lo Stregone. «Ha creato un velo protettivo intorno a te, un'area in movimento in cui non è possibile la previsione.»

«Allora cosa è andato storto?»

«Ho visto quella zona impenetrabile, sciocco. Non riuscivo ad intravedere chi stava rubando nella mia caverna, ma riuscivo a vedere tutto il resto intorno. Riuscivo a seguire il tuo movimento dentro la caverna. Quel sentiero era abbastanza diritto. Sapevo che eri tu.

«E poi erano rimaste le impronte dei piedi. Sono riuscito a studiarle prima che sparissero. Tu hai aspettato il sorgere della luna invece di cercare di entrare con l'oscurità. Anche se è una notte di luna piena.

«A parte questo, non era un cattivo tentativo, ed è stata una mossa intelligente quella di inviare un licantropo. Avrebbe dovuto avere la corporatura di un ragazzino per potersi infilare tra le sbarre, ma un ragazzino della tua taglia non sarebbe riuscito a vincere in un combattimento se qualcosa fosse andata storta. Un lupo della tua taglia invece, sì.»

«Mi hanno scelto bene.»

«Quello che voglio sapere è questo: come hanno fatto a persuadere un abitante di Atlantide e ad entrare in questa faccenda? Devono pur sapere quello che accadrebbe. Non ti hanno detto quali sono le proprietà della Ruota?»

«Assorbe la Magia,» rispose Aran. Era contrario, ma non sorpreso, che lo Stregone avesse identificato il suo accento.

«Assorbe il mana,» lo corresse lo Stregone. «Tu sai cosa è il mana?»

«Il potere che sostiene la Magia.»

«Allora ti hanno insegnato molte cose. Ti hanno anche detto che, quando il mana è svanito da una regione, non torna più? Per sempre?»

Aran rotolò su un fianco. Poiché era convinto di essere sul punto di morire, pensava di non avere nulla da perdere parlando sfacciatamente. «Io non capisco perché tu voglia tenerlo segreto. Uno strumento come la Ruota dello Stregone! Potrebbe rendere la guerra una pratica sorpassata! Si tratta della più grande arma difensiva mai inventata!»

Lo Stregone sembrava non capire. Aran continuò: «Devi aver pensato a questo. Perché, nessuna maledizione nemica potrebbe toccare Atlantide, se la Ruota dello Stregone fosse lì ad assorbirla!»

«Ovviamente tu non sei stato mandato dal Ministro della Guerra di Atlantide. Lui questo lo sa bene.» Lo Stregone lo guardò con occhi perspicaci. «Oppure sei stato inviato dalle Isole Greche?»

«Non capisco.»

«Non sai che Atlantide è strutturalmente instabile? Infatti, negli ultimi cinquecento anni, l'unica cosa che ha sostenuto Atlantide sopra alle onde, è stato l'incantesimo di strumenti stregati.»

«Tu menti.»

«Tu sicuramente no.» Lo Stregone fece un gesto di noncuranza. «La Ruota sarebbe uno strumento dannoso per qualsiasi nazione, ma soprattutto per Atlantide. Fai girare la Ruota, ed un'ampia area sarà privata della Magia, per il resto dell'eternità. Chi vorrebbe mai provocare una cosa simile?»

«Io vorrei.»

«Tu? E perché?»

«Noi siamo stanchi della guerra,» rispose Aran bruscamente, senza rendersi conto di aver detto noi. «La Ruota dello Stregone farebbe cessare la guerra. Riesci ad immaginare un esercito che cerca di combattere con null'altro se non spade e pugnali? Nessun incantesimo mortale. Nessuna preveggenza che spia i piani di battaglia del nemico. Nessun Demone assassino che colpisca parti protette o invisibili.» Gli occhi di Aran scintillarono. «Uomo contro uomo, spada contro spada, sangue e bronzo, e nessun incantesimo cicatrizzante. Nessun Re combatterebbe mai una guerra in questi termini! E noi elimineremmo per sempre la guerra!»

«Un profondo pessimismo di base mi forza a nutrire dei dubbi riguardo a quanto dici.»

«Ti stai prendendo gioco di me. Non vuoi credermi,» disse Aran sdegnosamente. «Non avere più mana significa per te la fine del tuo Incantesimo dell'Eterna Giovinezza. Diventeresti un vecchio, troppo vecchio per vivere!»

«Forse si. Ma ora, fammi vedere chi sei.» Lo Stregone toccò la borsa di Aran con la verga di salice, tenendola ferma sulla sacca per alcuni istanti. Aran si chiese freneticamente cosa potesse venire a sapere tramite la sua borsa. Se gli incantesimi di Chiusura non avessero resistito, allora...

Non resistirono, ovviamente. Lo Stregone raggiunse il contenuto della borsa, tirò fuori un altro pipistrello vivo, quindi numerosi fogli di pergamena su cui erano segnate quelle che potevano sembrare delle lezioni di geometria, ed un testo scritto in una calligrafia grande e precisa.

«Scrittura infantile,» commentò. «Linee tracciate con pignola precisione, errori cancellati e poi scritti nuovamente... Che idiota! Hai dimenticato la coda ad uncino sul disegno del Whirlpool. È un miracolo che non l'abbia distrutto.» Lo Stregone lanciò uno sguardo in alto. «Sono forse attaccato da dei bambini? Questi incantesimi sono stati preparati da qualche apprendista!»

Aran non rispose; ma aveva perso ogni speranza di riuscire a nascondere qualsiasi altra cosa.

«Eppure c'è del talento. È così. Tu sei un membro dei Pacificatori, vero? Tutti ragazzi in età giusta per l'esercito. Scommetto che sei appoggiato perlomeno da metà della classe dei diplomandi della scuola di Mercantile Grammaree. Devono avermi tenuto sotto controllo per mesi, per eludere le mie difese in modo così opportuno.

«E tu sogni la fine della guerra contro le Isole Greche! Pensavi di risolvere la faccenda rubando la Ruota dello Stregone per Atlantide? Ebbene: sono quasi disposto a lasciarti andare via con la Ruota. Ti deve servire molto se hai cercato di rubarmela.»

Poi fissò con sguardo duro Aran. «Perché, tu lo faresti, vero? Perché? Ho detto, perché?»

«Noi potremmo ancora utilizzarla.»

«Tu manderesti a fondo Atlantide. I Pacificatori ora sono diventati forse dei traditori?»

«Io non sono un traditore.» La voce di Aran era bassa e furiosa. «Noi vogliamo cambiarla, non distruggerla. Ma, se abbiamo la Ruota dello Stregone in mano nostra, il Palazzo dovrà ascoltarci!»

Il ragazzo cercò di divincolarsi e di allentare le strette legature, e pensò ancora una volta alla parola magica che lo avrebbe reso libero. Si sarebbe potuto trasformare in licantropo per fuggire via! Oltre le sbarre, giù lungo la collina, poi nella foresta, finalmente libero.

«Penso che ti renderò un servigio,» disse lo Stregone improvvisamente.

Si alzò di scatto. Quindi sfiorò le labbra di Aran leggermente con la verga di salice. Il ragazzo si accorse allora di non riuscire ad aprire la bocca. Ricordò in quel momento che era completamente nelle mani dello Stregone... e che era un ladro fatto prigioniero.

Lo Stregone si voltò, ed Aran notò il disegno che aveva sulla schiena. Si trattava di un tatuaggio elaborato e contorto con cinque lati, dipinto con inchiostro rosso, verde ed oro. Aran ricordò che gli era stato detto della guardia del corpo dello Stregone.

«Recentemente ho sognato,» riprese lo Stregone. «Ho sognato che avrei trovato un impiego per un pugnale di vetro. Pensavo che il sogno potesse essere profetico, per cui ho inciso...»

«Che sciocchezza,» lo interruppe Aran. «A che serve un pugnale di vetro?»

Aveva notato il pugnale mentre girava nella caverna. Aveva una punta quadrata affilata, il bordo tagliente e un'impugnatura con la custodia. Due morse imbottite in pelle di volpe lo tenevano fermo sul tavolo da lavoro. Il bordo superiore tagliente non era stato ancora terminato.

In quel momento lo Stregone rimosse il pugnale dalle morse. Sotto lo sguardo attento di Aran, tracciò dei disegni sulla lama con la grossa punta di un diamante che doveva essere stato pagato a caro prezzo. Pronunciò delle parole a bassa voce, ad un'intensità tale che Aran non riuscì a sentirle. Poi lo impugnò come... un pugnale.

Spaventato com'era, Aran non riusciva a capire cosa stesse facendo lo Stregone. Si sentiva come un agnello propiziatorio. Esistevano dei mana nei sacrifici... ed ancora più mana nei sacrifici umani... ma lui non voleva! Non voleva!

Lo Stregone alzò in alto il pugnale e lo infilò dritto nel petto di Aran.

Aran lanciò un urlo. L'aveva sentito! Una sensazione lievissima, un leggero squarcio: il coltello era soltanto un'ombra incorporea. Ma c'era un coltello ora nel cuore di Aran il Pacificatore! L'impugnatura sbucava dal suo petto!

Lo Stregone borbottò qualcosa tra i denti velocemente. L'impugnatura di vetro un istante dopo era svanita, perlomeno all'apparenza.

«È semplice rendere il vetro invisibile. Il materiale vetroso è già di per sé quasi invisibile. Però è ancora nel tuo cuore,» gli disse lo Stregone. «Ma non ti preoccupare. Non dartene pensiero: nessuno lo noterà. Semplicemente accertati di trascorrere il resto della tua vita in un territorio ricco di mana. Perché, se ti troverai a camminare in un posto dove la Magia non ha poteri... Ebbene, allora riapparirà; questo è tutto.»

Aran si sforzò di aprire la bocca.

«Ma tu sei venuto per il segreto della Ruota dello Stregone, e quello puoi benissimo saperlo. Si tratta semplicemente di stregoneria cinetica,» spiegò. «La Ruota gira sempre più veloce fin quando non è esaurito tutto il mana nell'area. Tende poi a lacerarsi, per cui occorre un altro incantesimo per tenere insieme i pezzi.»

Lo Stregone parlava con voce lenta e distinta. Poi sembrò accorgersi che Aran era sul punto di lasciarsi cadere quasi come un pesce. Allora disse: «Kpliraprantry.»

Le corde si sciolsero. Aran balzò in piedi vacillando. Si accorse di essere nuovamente in grado di parlare, e quel che disse fu: «Toglimelo. Per favore.»

«Ora, c'è un'unica cosa da fare riguardo alla tua idea di voler portare il Segreto ad Atlantide. Perché presumo che tu sia ancora di quell'idea, vero? Ma tu dovresti riuscire a descriverlo prima di poterlo usare. Puoi vedere da te come sia facile. Una grande nazione come Atlantide tende ad avere dei nemici, vero? E a te verrà detto come fare ad affondare Atlantide in un'unica notte.»

Aran si tastò il proprio petto, ma non riuscì a sentire nulla. «Toglimelo.»

«Non sono d'accordo. Ora abbiamo davanti la stessa morte, ragazzo lupo. Arrivederci, e porta i miei saluti alla scuola di Mercantile Grammaree. Ah, a proposito: non attraversare la Gola di Hvirin.»

«Scimmione!», urlò Aran. Non l'avrebbe più supplicato. In sembianze di lupo, nel momento in cui raggiunse le sbarre, riuscì ad attraversarle senza toccarle. Con la mente sentiva il coltello all'interno del petto, ed udiva la risata dello Stregone che lo seguiva lungo le colline e tra gli alberi.

 

Quando vide la seconda volta lo Stregone, erano trascorsi trent'anni e si trovavano a mille miglia di distanza.

 

II

 

Aran si spostava in sembianze di lupo, quando poteva. Era un'epoca di grande Magia; un licantropo poteva cambiare forma ogniqualvolta la luna era alta in cielo. Quando aveva l'aspetto di un lupo, Aran poteva nutrirsi di foraggio, e mettere così da parte le ultime monete rimastegli per comprarsi il biglietto di ritorno verso casa.

Tra i suoi pensieri, assai ricorrenti erano le imprecazioni contro lo Stregone.

Una volta, su una piccola collina, rivolse lo sguardo a nord, verso il villaggio di Shayl. Si sentiva furioso per la rabbia al ricordo della risata dello Stregone, ma si ricordava anche del pugnale di vetro. Improvvisamente visualizzò davanti a sé la gola dello Stregone, immaginando il sapore del suo sangue arterioso; ma il disegno scintillante e contorto sulla schiena del Mago balenò improvvisamente davanti agli occhi del ragazzo, che aveva già provato il sapore della sconfitta. Non poteva combattere un Demone Spettrale. Emise un ululato e riprese il suo cammino verso sud.

La Catena del Nildiss, dorsale di un intero continente, si ergeva davanti a lui. Al di là dei monti vi era il mare, ed una grande quantità di imbarcazioni che avrebbero potuto riportarlo a casa con quello che aveva imparato circa lo Stregone. Forse il ladro successivo avrebbe avuto miglior fortuna...

Fu così che giunse alla Gola di Hvirin.

Una volta, quella catena montuosa costituiva una barriera quasi insormontabile. Poi, quasi un migliaio di anni prima, un Mago di Rynildissen aveva operato una imponente Magia. La catena montuosa era stata spaccata come da una mannaia. Mentre le montagne declinavano su entrambi i lati a precipizio verso il basso, la Gola di Hvirin s'inclinava dolcemente verso la costa, tra pareti rocciose tanto piatte da sembrare lucide.

Di tanto in tanto, bisognava ripulire la Gola di Hvirin dai banditi. Questa operazione ogni volta era molto difficile; infatti, gli incantesimi contro il banditismo non funzionavano bene in quel punto e, invece della Magia, dovevano essere usate le spade. In compenso, anche i pericolosi draghi dei monti erano spariti del tutto.

Aran si fermò all'imboccatura della gola, e si sedette con aria pensierosa.

Lo Stregone poteva aver mentito. Poteva aver pensato che fosse divertente fargli seguire la strada più lunga per superare la Catena di Nildiss.

Ma vi erano le ossa dei draghi. Dove la Magia non aveva effetto, i draghi morivano. E le loro ossa erano lì, enormi e simili a serpenti. In qualche modo si erano fuse con la roccia del passo, per cui sembravano vecchie di diecimila anni.

Aran aveva attraversato la gola sempre con le sembianze di un lupo. Se la gola fosse stata priva di Magia, sarebbe stato costretto ad assumere la forma umana. Oppure gli sarebbe stata impossibile la trasformazione stessa?

«Ma io posso attraversare la gola come lupo,» pensò Aran. «In questo modo non posso essere ucciso da nulla all'infuori dell'argento e del platino. Il pugnale di vetro dovrebbe ferirmi, ma...

«Dannazione! Sono invulnerabile, ma è per Magia? E se la Magia non ha effetto nella Gola di Hvirin...» Fu scosso da brividi.

Il pugnale non gli aveva procurato che una lievissima sensazione, che era scomparsa dopo mezz'ora e non era più ritornata. Ma Aran sapeva che il pugnale era sempre lì: invisibile, piantato nel suo cuore, in attesa.

Poteva riapparire nel suo petto, e poteva sopravvivere... come un lupo. Ma lo avrebbe danneggiato! E non si sarebbe più potuto trasformare in un essere umano.

Aran si voltò e si allontanò dalla Gola di Hvirin. Il giorno prima aveva attraversato un villaggio. Forse il Mago locale avrebbe potuto aiutarlo.

 

«Un pugnale di vetro!», ridacchiò il Mago. Era un uomo corpulento, allegro e calvo, chiaramente avvezzo alla bella vita. «Ora le ho sentite proprio tutte. Ebbene, di che cosa ti preoccupi? Ha un'impugnatura, vero? L'incantesimo era molto complesso?»

«Non lo so. Ha scritto dei simboli sulla lama e poi mi ha pugnalato.»

«Bene. Dovrai pagare anticipatamente. E poi faresti meglio a trasformarti in lupo, tanto per essere al sicuro.» Il Mago chiese una cifra che avrebbe lasciato Aran senza denaro per il passaggio verso casa. Aran riuscì a farlo ragionare, e i due si misero al lavoro.

Il Mago rinunciò all'impresa circa sei ore dopo. Aveva la voce rauca, gli occhi rossi, stranamente colorati e profumati, e le mani erano dipinte con della tintura. «Non riesco a toccare l'impugnatura, non riesco a renderla visibile. Non riesco a scorgere alcun segno che ci sia realmente il pugnale all'interno. E, se utilizzassi qualche incantesimo più forte, questo potrebbe ucciderti. Ci rinuncio, ragazzo lupo. Chiunque ti abbia messo addosso questo incantesimo, ne sa più di un semplice Mago di villaggio.»

Aran si strofinò il petto dove la pelle era sporca di tinture moderatamente corrosive. «Lo chiamano lo Stregone.»

Il Mago corpulento si irrigidì. «Lo Stregone? Lo Stregone? E perché non me lo hai detto prima? Vai via!»

«E il mio denaro?»

«Io non avrei tentato neanche per un compenso dieci volte maggiore! Io sono solo un semplice Mago di bassa lega, e tu mi stavi mettendo contro lo Stregone! Potevamo essere uccisi entrambi. Se pensi di aver diritto ad un risarcimento, andiamo dal Capo della tribù e raccontiamogli il nostro caso. Altrimenti, vai subito via da qui.»

Aran se ne andò imprecando.

«Cerca un altro Mago, se vuoi,» gli gridò l'altro. «Tenta a Rynildissen! Ma dì loro prima cosa li aspetta!»

 

III

 

Era stata una decisione difficile per lo Stregone. Ma il suo Segreto era stato scoperto e si stava diffondendo. La cosa migliore che poteva fare era assicurarsi che il mondo della Stregoneria ne comprendesse le implicazioni.

Lo Stregone parlò alla Corporazione degli Stregoni sul tema dell'esaurimento del mana e della Ruota dello Stregone.

«Pensateci ogniqualvolta operate una Magia,» tuonò in quella che corrispondeva ad una predica, dopo la descrizione, strettamente tecnica, della Ruota. «Abbiamo solo un mana limitato, nel mondo, mentre esistono migliaia di Maghi che lo esauriscono. Esistevano esseri che dominavano il mondo come Dei, tanto tempo fa, fin quando il potere ha esaurito il mana che li teneva in vita.

«Un giorno, finirà completamente. Allora tutti i Demoni, i draghi e gli unicorni, gli gnomi, gli uccelli giganteschi ed i centauri, svaniranno, perché il loro metabolismo è in parte basato sulla Magia. Allora tutti i castelli in aria svaniranno, e nessuno saprà mai dove andranno a finire. Tutti i Maghi diventeranno degli stagnini e dei fabbri, ed il mondo sarà un posto ben triste dove vivere. Voi avete il potere di rendere quel giorno più vicino!»

 

Quella notte, lo Stregone sognò.

Un duello tra Maghi offre lo spunto per una favola affascinante. Queste storie sono comuni... ma raramente sono vere. Non è verosimile che il vincitore di tali duelli riveli i segreti del mestiere. Il perdente invece, come minimo, muore.

Gli apprendisti stregoni rimangono costantemente stupiti nel vedere come la preparazione occupi buona parte del duello. Lo scontro con il Mago Hill cominciò con un sogno, la notte successiva al discorso dello Stregone sulla inevitabilità del duello. Terminò trent'anni dopo.

In quel sogno il nemico non compariva. Ma lo Stregone vide un castello bello, ridente e dall'aspetto inoffensivo, appollaiato su una collina impossibile. In uno scenario fertile ed ondulato, le colline si ergevano come onde infrante, che si inclinavano così all'interno che il castello in cima aveva tutto uno spazio vuoto al di sotto.

Nel suo sogno lo Stregone aggrottò le sopracciglia. Una simile collina sarebbe crollata senza l'azione della Magia. Eppure, lo sciocco che lo aveva costruita stava distruggendo il mana.

Nel suo sogno, lo Stregone si concentrò e memorizzò i dettagli. Uno stretto sentiero si inerpicava su un fianco della collina. I fatti si intrecciavano come nei sogni. Vi era un amico con lui; poi non c'era più. Lo Stregone visse fintantoché ebbe attraversato la porta; oppure morì sulla soglia, agonizzando, con i grossi denti color avorio digrignati attraverso le sbarre.

Si svegliò poi di soprassalto cercando di separare le cose; la realtà dal sogno.

L'amico del sogno era necessario perlomeno fino alla porta. Al di là della porta del suo nemico, non riusciva a vedere nulla. Una Ruota dello Stregone doveva essere stata utilizzata in quel posto, per riuscire ad ostacolare così nettamente la sua Magia.

Giustizia poetica?

Trascorse allora tre giorni interi ad operare degli incantesimi per bloccare la facoltà di preveggenza del Mago della collina. Durante quel periodo, il suo sonno fu privo di sogni. La Magia degli altri era efficace quanto la sua.

 

IV

 

Alcune grandi navi ondeggiavano ancorate nel porto.

Vi erano delle navi da carico le cui strane e demoniache polene limitavano la loro capacità di movimento. Una grande nave da guerra Atlantide era equipaggiata con due sporgenze gemelle ricavate da tre alberi interi. Accanto alla banchina più vicina, dondolava sull'acqua il panfilo slanciato di un Mago. Aran rimase a guardarle tutte con aria pensierosa.

Aveva speso troppo denaro nel corso del viaggio attraverso le montagne. La settimana successiva al suo arrivo alle città di Rynildissen, aveva preso servizio come guardia del corpo presso un mercante di tappeti. Ora aveva dato fondo alla sua ultima moneta, ed era terribilmente affamato.

In quel momento il mercante di tappeti, Lloraginezee, insieme alla sua segretaria, Ra-Haroo, stavano parlando in segreto di affari con il capitano della nave da carico Nile. Aran li aspettava sulla banchina, osservando le navi con malinconia.

Ad un tratto rizzò le orecchie. L'uomo barbuto che lo aveva superato, vestiva l'uniforme di capitano. Aran lo salutò: «Olà, Capitano! State forse salpando per Atlantide?»

L'uomo barbuto aggrottò le sopracciglia. «E questo cosa ha a che fare con te?»

«Avrei un messaggio da inviare lì.»

«Vai da un Mago.»

«Preferirei di no,» rispose Aran. Difficilmente avrebbe potuto dire ad un Mago che voleva inviare delle istruzioni sul modo di compiere un furto nel laboratorio di un altro Mago. Se così non fosse stato, il messaggio sarebbe partito molti mesi prima.

«Ti farò pagare di più, e la traversata prenderà molto più tempo,» disse l'uomo barbuto con aria soddisfatta. «A chi dovrei riferire in Atlantide e dove, precisamente?»

Aran gli fornì l'indirizzo. Poi gli passò la busta sigillata con il messaggio che aveva portato con sé per tre mesi.

Anche Aran aveva preso una decisione difficile. Nella parte finale del messaggio avvertiva dell'instabilità tettonica del continente, e suggeriva i passi che i Pacificatori avrebbero potuto intraprendere onde rendersi conto se lo Stregone avesse mentito. Ma non aveva incluso le istruzioni per creare una Ruota dello Stregone.

 

Al largo del porto, delfini e tritoni si divertivano con giochi rudimentali e complicati. L'imbarcazione di Atlantide issò le vele. Un soffio di vento si levò misteriosamente per gonfiarle. Poi si smorzò lentamente, seguendo la nave passeggeri durante tutta la traversata.

Presto Aran avrebbe ricevuto il denaro per potersi pagare il biglietto. Anche in quel momento avrebbe potuto avere il denaro necessario, se non avesse dovuto pagare due volte l'onorario degli Stregoni, con il risultato che il denaro era scomparso, ma non il pugnale di vetro. Nel frattempo, Lloraginezee non aveva ritenuto opportuno rivelare i segreti del mestiere alla sua guardia del corpo. Sapeva che Aran avrebbe intrapreso la via di casa non appena avesse avuto il denaro.

In quel momento i due stavano percorrendo il ponticello di sbarco. Lloraginezee con un'andatura meno oscillante nonostante la sua corporatura; la ragazza che gli faceva da segretaria con un passo aggraziato e tranquillo, e tenendo in equilibrio i campioni di tappeti sulla testa. Mentre Aran si stava avvicinando al gruppo, Ra-Harroo stava dicendo qualcosa, qualcosa che il ragazzo si era proposto di sentire.

«Iniziando domani, finiremo il lavoro in cinque giorni. Vo lo sapete,» disse Ra-Harroo a Lloraginezee... e arrossì.

«Bene, bene,» rispose Lloraginezee, annuendo con aria assente.

Anche Aran lo sapeva. Sorrise, ma senza guardare la ragazza. Avrebbe potuta metterla in imbarazzo... invece conosceva bene l'aspetto esteriore di Ra-Harroo. Aveva i capelli neri, corti ed ordinari. Il naso era grande e piatto, quasi assorbito dal resto del viso. Gli occhi erano neri e dolci, sovrastati da sopracciglia scure e spesse. Le orecchie erano modellate delicatamente e terminavano a punta. Era una fanciulla adorabile, specialmente per un altro lupo.

Durante il cammino si tenevano per mano. Gli artigli di lei erano sottili e forti, ed i peli sul suo palmo gli facevano il solletico.

In Atlantide avrebbe potuto prendere in considerazione l'idea di sposarla, se avesse avuto denaro sufficiente per mantenerla. Ma qui, era fuori discussione. Per gran parte del mese erano stati amici ed avevano lavorato in cooperazione. La vita notturna di Rynildissen era più piacevole per una coppia, e molte volte Lloraginezee era riuscito a fare a meno di entrambi.

Forse Lloraginezee aveva creato apposta quelle occasioni. Lui non era un licantropo. E probabilmente si era divertito al pensiero che l'amore avesse lanciato i suoi dardi a quei due. Ma il sesso non era coinvolto nel loro rapporto, se non in un determinato periodo del mese. Allora però Aran non vedeva l'amica: Ra-Harroo si rinchiudeva nella casa del padre. Ed il ragazzo non era mai riuscito a sapere dove vivesse.

Lo aveva scoperto cinque notti dopo.

Aveva fatto la guardia a Lloraginezee lungo il suo cammino verso la Casa di Piacere di Adrienne. Lloraginezee avrebbe trascorso la notte lì... su un materasso aereo che ondeggiava sul mercurio, un letto di cui Aran aveva sentito soltanto la descrizione. Un sonno ristoratore non era poi il peggiore dei piaceri.

La notte era calda e balsamica. Aran percorse la lunga strada verso casa, vagando attorno all'ampio e vuoto lotto di terreno situato alle spalle della casa di Adrienne. Quel terreno esteso e piatto aveva alloggiato il palazzo di Shilbree il Sognatore, trecento anni prima. Il palazzo era magico, e rappresentava un'impresa eccezionale perfino ai suoi tempi. Alla fine si era... esaurito: così avrebbe detto Shilbree.

Un giorno era sparito. E neanche il più semplice degli incantesimi avrebbe avuto effetto in quello spazio vuoto.

Qualcuno aveva detto ad Aran che le famiglie dei licantropi occupavano molti isolati del quartiere residenziale. Sembrava vero, poiché il ragazzo percepì certi odori inconfondibili mentre attraversava alcuni sentieri. Ne seguì uno, curioso di vedere che tipo di casa un licantropo ricco poteva aver costruito a Rynildissen.

Un profumo ineffabile lo condusse oltre, fino ad un edificio alto ed angolato con una porta di ottone... e poi un altro profumo gli colpì le narici, e gli entrò nel sangue e nel cervello. Aran trascorse l'intera notte ad ululare accanto alla porta. Nessuno tentò di fermarlo. I vicini dovevano essere abituati a cose simili; oppure potevano aver capito che il ragazzo si sarebbe fatto uccidere piuttosto che andare via.

Più di una volta sentì una voce piena di desiderio che gli rispondeva dai piani superiori dell'edificio. Era la voce di Ra-Harroo. Con quel che gli rimaneva della sua razionalità, Aran si rendeva conto che avrebbe dovuto pensare le scuse migliori da rivolgere in seguito all'amica. Quest'ultima avrebbe pensato che Aran fosse andato da lei deliberamente.

Immerso in tali pensieri, l'ululato di Aran si rivelò un canto di tristezza, privazione e vergogna.

 

V

 

Il primo che incontrò sul suo cammino, fu il piccolo villaggio di Gath, dove un apprendista della Corporazione era venuto in cerca di opali neri. Li aveva trovati, ed era stato anche libero di prenderli, poiché Gath sembrava una città morta e deserta. Lo Stregone era rimasto stupito di ciò e, guardandosi intorno, ben presto aveva scoperto un punto privo di Magia all'interno del quale vi era un castello in rovina. Presumibilmente doveva essere crollato da molti secoli. Oppure poteva essere sorto per Magia, e crollato nel momento in cui il mana era svanito, il giorno e la settimana prima.

Si trattava di una strana storia. L'apprendista sarebbe diventato ricco con gli opali, poiché quelli neri erano molto utili per gli anatemi: ma quel villaggio vuoto lo infastidiva.

«All'inizio ho pensato che gli abitanti fossero stati fatti schiavi,» aveva detto una volta, all'orecchio dello Stregone. «Non vi erano cadaveri, in nessun posto. I trafficanti di schiavi non uccidono se ne possono fare a meno.

«Ma perché quella banda avrebbe abbandonato gli oggetti di valore là dove li aveva trovati? Gli opali erano sparsi per la strada, mischiati alla paglia. Forse un gioielliere li stava portando in un luogo segreto quando... qualcosa ha sfasciato il suo carro. Ma perché i trafficanti di schiavi non hanno raccolto le pietre preziose?»

Si trattava del castello in rovina che lo Stregone avrebbe ricordato tre anni dopo, quando sentì parlare di Shikabil. Aveva sentito parlare del castello da una gazza che svolazzava sulle sue spalle e che gli aveva bisbigliato: «Stregone?»

Poi, una volta ascoltata la storia, si era incamminato.

Shiskabil era un villaggio composto di case di pietra all'interno di una muraglia di pietra. Doveva essere stato abbandonato all'improvviso. I pasti si erano seccati oppure erano imputriditi nei piatti; la carne era stata bruciata dalle braci nel forno. Non si vedeva anima viva per le strade, ma neanche cadaveri. La muraglia non era stata danneggiata. Eppure, ovunque apparivano segni di violenza: mobili rotti, porte con serrature distrutte oppure con le cerniere scheggiate, lance, spade e mazze di fortuna incrostate di ruggine, e tanto sangue. Tracce di sangue nero e raggrumato ovunque, come se dal cielo fosse piovuto sangue.

Clubfoot, il membro più giovane della Corporazione, era sottile e serio. Sebbene avesse molto talento, il ragazzo aveva anche un po' di paura del potere che controllava tramite l'Arte Magica. Inoltre non era felice a Shiskabil. Camminava sempre con le spalle curve, cercando di evitare i posti con le pozze di sangue.

«Strano, vero? Ma io ho una ragione speciale per mandarti fuori,» disse. «Al di là della muraglia, esiste una regione priva di Magia. Mi è venuta l'idea che qualcuno possa avere usato la Ruota dello Stregone.»

Era un campo di terreno fertile e rettangolare, completamente morto: l'esempio tipico di un mondo privo di Magia. Al centro apparivano delle pietre frantumate inframmezzate da ciuffi d'erba.

Lo Stregone fece il giro del terreno, poco propenso a inoltrarsi in un campo dove la Magia non aveva effetto. Aveva utilizzato una sola volta la Ruota in precedenza, contro Glirendree, dopo che la spada del Demone aveva ucciso il suo Demone Spettrale. La Ruota aveva assorbito lo spirito giovane che era in lui, ed aveva fatto diventare lo Stregone circa duecento anni più vecchio, in pochi secondi.

«Il villaggio era sostenuto dalla Magia,» rivelò Clubfoot. «Io ho tentato alcuni incantesimi semplici. Il livello del mana è molto basso. Non ricordo alcuno Stregone famoso proveniente da Shiskabil, e tu?»

«No.»

«Allora, qualsiasi cosa sia accaduta qui, è stata fatta con la Magia.» Clubfoot quasi bisbigliò la parola. La Magia poteva essere veramente diabolica: lo sapeva bene.

I due trovarono un sentiero tortuoso che attraversava la linea di confine del campo morto, ed una regione vagamente viva all'interno. Ad un gesto dello Stregone, le pietre in rovina si mossero lentamente cercando di alzarsi.

«E così si trattava del castello di qualcuno,» disse Clubfoot. «Mi chiedo come ha fatto ad ottenere questo effetto!»

«Una volta ho pensato ad una cosa simile. Se si ponesse un pesante incantesimo cinetico su una Ruota più piccola, la Ruota girerebbe molto velocemente, ed esaurirebbe il mana in un'area molto concentrata...»

Clubfoot fece un cenno con il capo. «Capisco. Potrebbe avere agito su una strada, su un sentiero stretto. Questo avrebbe costituito tutt'intorno una sorta di barriera protettiva contro la Magia della regione viva.»

«Ed inoltre ha lasciato un varco aperto per avere la possibilità di far uscire ed entrare i suoi strumenti. Ha creato un'entrata tortuosa in modo tale che nessun incantesimo potesse entrarvi. Nessuno è stato in grado di usare la preveggenza con lui. Mi chiedo...»

«Mi chiedo cos'abbia da nascondere...»

«Mi domando cosa sia accaduto a Shiskabil,» disse lo Stregone. Ed improvvisamente gli venne in mente la barriera morta che nascondeva il castello del Mago della collina. Il suo lento duello con il nemico privo di faccia, ormai durava da dodici anni.

 

Impiegò circa ventitré anni prima di riuscire a trovare il terzo villaggio.

Hathozoril era più grande di Shiskabil, e più famoso. Lo Stregone ne aveva sentito parlare quando non era arrivato un carico di sculture in avorio e gemme.

Il villaggio non poteva essere stato abbandonato prima di alcuni giorni dell'arrivo dello Stregone. Quest'ultimo, insieme a Clubfoot, trovò i pasti a metà cottura, pasti lasciati in buona parte nei piatti, mobili rotti, armi sottratte dal loro posto, porte distrutte...

«Ma niente sangue. Mi chiedo perché...»

Clubfoot era nervoso. «A parte questo, la scena è la stessa. L'intera popolazione è sparita in un istante, probabilmente contro la propria volontà. Dieci lunghi anni; non di più. Avevo quasi dimenticato... Tu sei arrivato qui prima di me. Hai trovato un'area morta ed un castello distrutto?»

«No. Ho girato poco.»

Il Mago più giovane si strofinò il piede storpio dalla nascita, che avrebbe potuto guarire in mezz'ora ma che lo avrebbe privato della metà dei suoi poteri. «Potremmo esserci sbagliati. Se si tratta di lui, ha cambiato tecnica.»

Quella notte, lo Stregone sognò una difficile scalata tra colori pirotecnici. Si risvegliò pensando al Mago della collina.

«Arrampichiamoci su quelle colline,» disse Clubfoot la mattina successiva. «Devo sapere se il Mago delle colline ha qualcosa a che fare con questi villaggi deserti. Dobbiamo cercare un punto morto in cima alla collina.»

Quell'errore riuscì quasi ad ucciderli.

L'ultima collina che Clubfoot cercò di scalare, era ricoperta da un terreno friabile e di rocce che rotolavano sotto i suoi piedi. Ci provò ancora al tramonto, con leggera disperazione, poiché ormai aveva perso la pazienza.

Si trovava ancora vicino alla base quando lo Stregone gli si avvicinò arrampicandosi sulla roccia. «Scendi da lì!», gli disse ridendo. «Nessuno costruirebbe qualcosa su questo ammasso di sabbia.»

Clubfoot si guardò attorno ed urlò: «Vai via da qui! Stai diventando più vecchio!»

Lo Stregone si toccò il viso e sentì sotto le dita le rughe. Indietreggiò sul sentiero per tornare giù frettolosamente: era preoccupato, con la voglia di correre, ma aveva il timore di rompersi le fragili ossa. Infine si allontanò dal sentiero mentre i capelli argentei gli cadevano dalla testa.

Una volta oltrepassata la regione povera di mana, cominciò a ridacchiare rilassato. «È stato mio l'errore. Ora so quello che ha fatto. Clubfoot, troveremo il punto morto all'interno della collina.»

«Per prima cosa faremo un Incantesimo di Ringiovanimento per te.» Clubfoot dispose i suoi strumenti sulla roccia: un ceppo di carbonella, un coltello d'argento, un pacco di foglie...

«Quella linea di confine è diabolica. Assorbe il mana dall'interno. Deve averne rimosso abbastanza. Per cui quell'uomo ha elevato una collina come un'onda infranta. Quando la Magia è fuoriuscita dalla collina, è scorsa al di sopra del castello ed ha riscoperto tutto. E lo farà ancora.»

«Geniale. Cosa pensi sia accaduto nel villaggio di Hathozoril?»

«Non riusciremo mai a saperlo.» Lo Stregone si toccò le rughe agli angoli degli occhi. «Qualcosa di brutto, credo. Qualcosa di molto brutto.»